I pregiudizi e gli stereotipi basati sulla diversa etnia sono comuni e la persistenza di determinati atteggiamenti ha portato numerosi studiosi ad interrogarsi sulla loro origine: siamo naturalmente inclini ad amare persone dello stesso ceppo etnico? Per rispondere all’interrogativo sono stati spesso coinvolti neonati e bambini durante la prima infanzia in varie ricerche, le quali hanno dimostrato che i bambini farebbero una distinzione netta tra coloro che sono visivamente più simili alle persone che sono abituate a vedere e quelle che invece sono differenti.
Criterio di similarità
Molti studi hanno suggerito come i bambino sviluppino un pregiudizio positivo verso persone apparentemente più simili a loro nel corso del primo anno di vita. I neonati, invece, non mostrano preferenze per i volti della propria etnia rispetto ad un’altra, in quanto riconoscono con lo stesso apprezzamento tutti i volti indistintamente. Ciononostante le cose cambiano già a tre mesi: a quest’età i bambini preferiscono guardare le immagini di volti riconoscibili con il proprio ceppo e, entro nove mesi, questa preferenza si stabilizza.
Allo stesso modo a sei mesi i neonati hanno una reazione positiva nel sentire parole simili alla lingua utilizzata nel proprio ambiente familiare e sociale.
Tali pregiudizi sono evidenti nei bambini di tutto il mondo ed è importante sottolineare che circa il 90% di questi ultimi cresce in famiglie in cui i genitori appartengono alla stessa etnia e vivono in una società non equamente multiculturale. Nell’ambiente sociale vi è quindi una predominanza culturale e una minoranza che i bambini imparano ad individuare e dividere, attraverso un processo definito in-group ed out-group.
Il primo è il gruppo sociale in cui sei psicologicamente identificato come membro; il secondo invece rappresenta tutti i gruppi sociali nel quale non sei identificato.
Non si tratta di razzismo
Uno studio nel 2017 ha suggerito che i bambini cinesi, canadesi, inglesi, americani e francesi di età compresa tra sei e nove mesi associano musica felice con membri della propria etnia e invece musica triste con membri di un’altra etnia.
Il gruppo di ricerca ha inoltre suggerito che i bambini iniziano a mostrare una preferenza per l’apprendimento da persone del proprio gruppo etnico. Tali apparenti pregiudizi, tuttavia, derivano probabilmente dalla familiarità; di conseguenza i bambini associano il proprio ambiente familiare ad espressioni felici ed esperienze di apprendimento. Lo conferma il fatto che “l’ansia da estraneo” aumenti in questa fascia di età: le frequenze cardiache, a nove mesi, accelerano quando incontrano uno sconosciuto mentre a cinque anni rimangono invariate.
Tutto ciò viene spesso, erroneamente, definito razzista, ma è un concetto diverso: questa ricerca dimostra semplicemente che i bambini sono consapevoli delle differenze visive e stanno usando le proprie conoscenze per categorizzare il mondo sociale, guidato da familiarità percettiva e associazioni positive.
Ciò differisce dal razzismo poiché quest’ultimo è discriminazione o antagonismo diretto a qualcuno considerato di razza inferiore in quanto diversa. I bambini non hanno pensieri negativi su altri gruppi.
Ma può diventarlo
Ciononostante questi precoci pregiudizi possono sostenere lo sviluppo di atteggiamenti razziali successivi: a 5 anni, per esempio, i bambini pensano che i membri del proprio gruppo siano più gentili e meno propensi a rubare, anche quando l’appartenenza al gruppo viene creata da qualcosa di superficiale e transitorio come il colore della maglietta o l’appartenenza allo stesso genere. Quindi il favoritismo per il proprio gruppo, mescolato con un’attenzione precoce alle differenze etniche, potrebbe esplodere in atteggiamenti discriminatori.
Per questo motivo è importante che i bambini siano introdotti ad una buona e giusta informazione dalle istituzioni e dai genitori, i quali hanno il compito di contrastare gli stereotipi sociali trasmetti spesso dai media.
Un giusto approccio è quello di parlare apertamente del razzismo ai bambini, i quali hanno piena consapevolezza del concetto di razza e tendono a trattarla come una categoria sociale: tale atteggiamento diminuirebbe significativamente un futuro atteggiamento discriminatorio piuttosto che un approccio generalizzante che si serve di messaggi come “siamo tutti amici”, il quale è troppo vago perché i bambini capiscano che si riferisce al colore della pelle.