Che le Olimpiadi di Rio 2016 avrebbero fatto parlare il mondo intero ancor prima della Cerimonia di Apertura di venerdì 5 agosto era nell'aria da tempo. Vuoi la questione doping che coinvolge l'atletica russa e non solo. Vuoi la corruzione e le tempistiche brasiliane per ultimare i lavori e lo scrupoloso "dover coprire" tutto ciò che non si dovrebbe far vedere in TV, e nemmeno ai turisti che hanno acquistato un posto in tribuna. Ma la cartolina che farà emozionare tutti, ma proprio tutti e in maniera indelebile, sarà l'ingresso della squadra dei cosiddetti "refugiati".
Nel rispetto del Protocollo Olimpico, la prima nazione a sfilare è la Grecia, poi via in ordine alfabetico fino al momento in cui sfileranno penultimi e sotto la bandiera bianca con i cinque cerchi olimpici, i dieci atleti che il CIO ha voluto premiare conferendo loro la possibilità unica di partecipare ai Giochi olimpici di Rio 2016. La squadra di casa, come di consueto, chiude la sfilata.
Chi erano queste persone prima di diventare rifugiati
Il Refugge Olympic Team è formato da: Rose Nathike Lokonyen del Sudan del Sud, mezzofondista di 23 anni e portabandiera del gruppo esule più famoso al mondo; Angelina Nadai Lohalith, Sudan del sud, 21 anni e selezionata per gareggiare nei 1500 metri; James Nyang Chiengjek, Sudan del Sud, nei 400 metri; Paulo Amotun Lokoro, Sudan del Sud, 24 anni, vorrebbe vincere l'oro nei 1500 metri, e perché no, stabilire il nuovo record mondiale; Yech Pur Biel, Sudan del Sud, anche egli pronto a dar battaglia negli 800 metri; Rami Anis, il più veloce nuotatore della Siria nei 100 metri farfalla.
Dichiara di aver un sogno, "conoscere Michael Phelps"; Yusra Mardini, siriana, 18 anni, arrivata a nuoto all'Isola greca di Lesbo, trascinando con sé la sorella e un gruppo in difficoltà. Popole Misenga e Yolande Makiba, del Congo, sono due judaka accolti dal Brasile già nel 2013; Yonas Kinde, 36 anni, etiope, parteciperà alla maratona.
Per tutti loro un denominatore comune
Il passato non potrà mai essere dimenticato, ma la voglia di vivere, di riscattarsi è più forte di tutte le sofferenze vissute. Non avrebbero mai potuto partecipare ad una Olimpiade se non avessero avuto un paese da rappresentare, e nonostante l'indifferenza collettiva sull'argomento si trovano a Rio ad onorare le parole del Barone Jean de Coubetin: "L'importante è partecipare".