Giochi Olimpici, Rio de Janeiro 2016, Maracanà: per la prima volta nella storia abbiamo visto sfilare sotto la Bandiera Olimpica, quella che più di una settimana fa, Euronews aveva definito, in prima istanza, nel video mandato in onda il giorno 1 agosto 2016, una "equipe di 10 profughi". Si tratta di atleti che provengono dalla Siria, dalla Repubblica Democratica del Congo, dall'Etiopia, dal Sudan del Sud; sono giovani fuggiti dalla ferocia della guerra e dai conflitti civili presenti nei loro paesi.

I Giochi Olimpici godono da sempre di una bellezza pazzesca, ma in un modo tutto loro, che a tratti potrebbe essere ingannevole. L’importante è non farsi travolgere troppo dall’eccitazione, che genera l’evento in sé, e rimanere lucidi per non rischiare di ritrovarsi avvinghiati a un'idea di mondo, a tratti riduttiva e di scarsa onestà intellettuale. Scrive infatti L.P, il 7 agosto 2016, sul Fatto Quotidiano: ”Una novità assoluta, un contingente di dieci atleti che gareggia sotto la bandiera neutrale a cinque cerchi del Cio e che il presidente Thomas Bach ha definito simbolo di speranza.

Peccato che questa storia presentata dai media di tutto il mondo come l’ennesima favola olimpica, traboccante di buoni sentimenti, non sia altro che l’ennesima operazione di brandwashing operata dal Cio, multinazionale svizzera che incassa miliardi ogni anno ed è responsabile di centinaia di migliaia di sfollati dei paesi in cui si organizzano le Olimpiadi”

Le Favelas fuori da Maracà

Va anche considerato che a Rio de Janeiro ci sono 800 favelas dove non c'è acqua potabile, dove le fogne, quando piove, inondano le case; dove la sporcizia regna sovrana. Le persone, nelle favelas, vivono secondo i dettami delle gang che controllano lo spaccio di droga. Secondo i dati della Transparency International, il Brasile nel 2015 era al 76° posto del Corruption Perceptions Index, sebbene non sia il caso di esprimere giudizi, dato che l'Italia, sempre nel 2015, occupava il 61° posto.

Eppure i brasiliani insegnano poiché, nonostante “non sia tutto oro quel che luccica” nello sport, come nella vita, con i loro colori accesi, il loro sorriso, la loro gioia, i balli, i sambeiros, i fuochi artificiali e la presenza di Vanderlei Cordeiro de Lima in qualità di ultimo tedoforo, sono stati in grado di rendere la Cerimonia di Apertura dei Giochi Olimpici di Rio 2016 un evento di rara bellezza.

Refugee Olympic Team

Rimane comunque difficile non chiedersi se questi 10 atleti facenti parte del Refugee Olympic Team, la notte della Cerimonia di Apertura dei Giochi Olimpici di Rio 2016, non avrebbero desiderato sfilare ognuno sotto la propria bandiera invece che sotto quella del Cio. In fondo, fuggire dalla propria Nazione in guerra, non significa rinnegare le proprie origini, a volte significa "salvarsi la pelle”.

In caso di vittoria, ognuno di loro, celebrerà il proprio titolo con l'Inno Olimpico. A tale proposito, forse, vale la pena di ricordare le parole piene di speranza del giovane nuotatore siriano Rami Anis mandate in onda nel servizio di Euronews: “Refugee Team: in 10 a Rio rappresentano i 60 milioni in fuga dall'orrore” il 6 agosto 2016: "Questa è una grande opportunità, è il sogno di ogni atleta quello di partecipare alle Olimpiadi, lo sogniamo tutti, da quando siamo bambini. Ciascuno di noi sperava di competere sotto la bandiera della propria nazione ma sfortunatamente la guerra non ce l'ha permesso. Siamo molto orgogliosi di essere parte della squadra dei rifugiati, li rappresenteremo tutti.

Il mio cuore e la mia anima sono rivolti alla Siria e, se Dio vuole, quando ci saranno i Giochi di Tokyo, non ci saranno più rifugiati e ogni atleta competerà per il proprio paese. Non c'è niente di più prezioso della propria patria".