In questo tumultuoso periodo storico c’è una storia a lieto fine che vale la pena di essere raccontata a gran voce: è quella di Yusra Mardini, la diciottenne di Damasco che ha coltivato fin da piccola la passione per il nuoto a livello agonistico e in questi giorni a Rio de Janeiro per partecipare alle Olimpiadi 2016. Una passione più forte delle onde del mare, che le ha permesso di salvarsi nell’agosto del 2015, quando si è tuffata dal barcone che stava affondando nelle acque dell’Egeo.Yusra ha avuto la forza di trascinarlo sino alle coste dell’isola di Lesbo, mettendo in salvo ventipersone.

La squadra dei rifugiati, simbolo di grinta e coraggio

Un anno esatto dopo, gli occhi vispi della diciottenne siriana bucano lo schermo. Eccola, fiera e sorridente, a Rio de Janeiro: è stata selezionata dal Cio (Comitato Olimpico Internazionale) per partecipare ai giochi e inserita tra i dieci atleti che formano la Squadra degli Atleti Olimpici Rifugiati; si tratta diun'entità creata ad hoc per raggruppare gli atleti che non hanno potuto portare avanti il loro impegno agonistico in terra natia. Non avendo una loro bandiera, a rappresentare la loro grinta sportiva sono stati scelti i cinque cerchi olimpici, segno di solidarietà e testimonianza del loro essere stati adottati dal mondo intero.

Ieri il momento più commovente dell’inizio dei Giochi: lo stadio Maracanãha accolto l’entrata della squadra con un’ovazione, che aveva quasi il sapore di un abbraccio fraterno e rassicurante.

Un augurio speciale è arrivato anche da Papa Francesco, il cui tifo è tutto per loro, i protagonisti di queste Olimpiadi 2016.Il team, selezionato tra una rosa di 43 candidati, è composto da cinque atleti del Sud Sudan, due della Repubblica democratica del Congo, uno dell’Etiopia e due della Siria.

Dalla Siria alla Germania, il lungo viaggio per la libertà

“Sono felicissima, non posso spiegare quanto sono felice, quando me lo hanno detto ho pianto”: si è espressa così la giovane nuotatrice siriana, descrivendo le sensazioni che ha provato quando ha ricevuto la convocazione alle Olimpiadi di Rio 2016. Non è difficile crederci, perché Yusra ha affrontato sfide ben peggiori e pericolose: è cresciuta nella capitale sirianaDamasco, da anni teatro di indicibili guerre e tragedie umane; i bombardamenti hanno raso al suolo la sua casa durante la guerra civile, costringendo lei e i suoi familiari a scappare dalla città.

Insieme alla sorella Sarah ha raggiunto il Libano e poi la Turchia, dalla quale è partita con una barca diretta in Grecia assieme al altri migranti; quest’ultima però non ha retto il peso di 20 persone, la sorte non è stata favorevole e il motore si è spento, iniziando a imbarcare acqua sino a che la situazione è diventata insostenibile e le due sorelle, aiutate da una terza donna, si sono tuffate in mare. Per tre estenuanti ore hanno “traghettato” gli altri sino all’isola di Lesbo, circa cinque chilometri a nuoto. In seguito, stremate, hanno dovuto marciare attraverso Macedonia, Serbia e Ungheria, prima di raggiungere l’Austria e poi la Germania nel settembre 2015, dove tutt’ora vivono con la famiglia.

La giovane finora si è allenata strenuamente a Berlino con il team del Wasserfreunde Spandau 04 e già getta lo sguardo al post-Rio: il suo primo pensiero è quello di prepararsi al meglio per i Giochi di Tokio 2020. Le sue specialità sono i 100 farfalla e i 100 stile libero, anche se il suo più grande desiderio sarebbe stato quello di riuscire a qualificarsi per i 200 stile. Il crono raggiunto dalla giovane non è stato purtroppo sufficiente per accedere alle semifinali dei 100 farfalla, ma Yusraper noi ha già vinto: una lotta importante e difficile, quella per la libertà di vivere e sognare, di poter costruire il proprio futuro. Ci auguriamo che possa essere vinta anche da tutti gli altri giovani nati in paesi devastati da guerre, povertà e terrorismo. Di storie come quella di Yusra ce ne sono tante, ma raccontando la sua diamo voce anche a tutte lealtre.