Un percorso di 158 km da Cuneo a Pinerolo, prima tappa di montagna dell'attuale Giro d'Italia. Si corre oggi e potrebbe partire il primo assalto alla maglia rosa detenuta da Valerio Conti da parte dei grandi favoriti della corsa rosa. In realtà non possiamo parlare di 'tappone alpino': è un primo assaggio delle grandi salite che si concretizzerà in un'unica ascesa davvero impegnativa, quella del Montoso.

Complessivamente più pianura che salita, davvero un'altra storia. Gli appassionati di clicismo più anziani, ma parecchio anziani, hanno compreso al volo, così come chi è cresciuto a pane e bicicletta ed ha ascoltato o letto le vecchie storie come se fossero fiabe della buonanotte. Abbiamo visto le immagini in bianco e nero, così lontane nel tempo, ma tanto affascinanti. Non è solo Ciclismo, ma anche lo scenario di un'altra Italia, quella del dopoguerra. Chi ha avuto la fortuna di vivere quell'epopea non aveva immagini a disposizione, ma ascoltava tutto alla radio e considerato che non tutti gli italiani dell'epoca potevano permettersi un apparecchio radiofonico, ci si ritrovava magari in un bar a tifare per l'una o per l'altra Italia.

Già, perché l'Italia era sportivamente divisa tra 'coppiani' e 'bartaliani'. La Cuneo-Pinerolo del Giro d'Italia del 1949 è una delle imprese che ha reso inarrivabile il mito di Fausto Coppi.

Un'incredible fuga solitaria

Era il 10 giugno del 1949, terz'ultima tappa del Giro d'Italia, un totale di 254 km e cinque colli da scalare: la Maddalena, il Vars, l'Izoard, il Monginevro ed il Sestriere. Oreste Conte vestiva la maglia rosa, ma era scontato che tanto Coppi quanto Gino Bartali tentassero la fuga. E, come previsto, Fausto parte e lo fa quando sono stati percorsi appena 62 km. Con la sua caratteristica andatura: leggero, elegante, mulinando le sue lunghe leve, sembra quasi non fare fatica. Bartali lo ha ciclisticamente svezzato quasi dieci anni prima, lo conosce come le sue tasche ed ha capito che quella fuga apparentemente folle può diventare decisiva.

Si getta al suo inseguimento: Gino è l'uomo di ferro, ma talvolta anche l'animo più indistruttibile è costretto ad arrendersi dinanzi a qualcosa che è destinata a diventare leggenda. Cinque colli, Coppi li scala in solitudine ed il suo vantaggio cresce, terminata l'ascesa del Sestriere affronta i 55 km di discesa fino a Pinerolo dove taglierà il traguardo con il tempo di 9h19'55", 11'52" di vantaggio di Bartali e 19'14" su Alfredo Martini. La maglia rosa è sua, il Giro è virtualmente nelle sue mani, il terzo dei cinque Giri d'Italia vinti in carriera. Nella Cuneo-Pinerolo ha percorso in solitudine 192 km, la sua fuga più lunga.

Il ritorno del mito

Settant'anni dopo, giorno più giorno meno, c'è una Cuneo-Pinerolo.

In realtà è la quarta volta che si disputa questa frazione dopo quella mitica del '49. Nel 1964 vinse Franco Bitossi, nel 1982 fu la volta di Beppe Saronni con il percorso identico a quello di Fausto. Nel 2009 ci sarà un'altra Cuneo-Pinerolo, ma non è una bella pagina di ciclismo. Il percorso avrebbe dovuto ripercorrere quello del '49, ma venne poi modificato per questioni logistiche. Vinse Danilo Di Luca in solitudine e sarebbe stata una bella impresa, peccato che il corridore abruzzese sarà poi squalificato per doping. Le controanalisi accerteranno la sua positività durante il Giro, la vittoria di quella tappa sarebbe stata assegnata a Denis Menchov che avrebbe poi trionfato anche nella corsa rosa.

In nessuno di questi casi, comunque, si è visto qualcosa di pur vagamente simile all'originale. Del resto, da quando l'airone ha chiuso le ali per una grave quanto assurda malattia nel 1960, nessuno le ha più riaperte in quel modo. Il ciclismo ha avuto tanti campioni, prima e dopo di lui, ma non ha mai avuto un altro Coppi.

Oltraggio? In realtà decisione saggia

Dopo questo breve, ma affascinante viaggio nel tempo, dobbiamo tornare alla 'nostra' Cuneo-Pinerolo. Quando venne presentato il percorso 2019, la curiosità intorno alla prima tappa di montagna sfociò in mormorii di indignazione nello scoprire il percorso che non aveva nulla a che fare con quello del 1949. Qualcuno, spinto da sacro fuoco storico, ha gridato all'oltraggio.

In realtà la scelta degli organizzatori è 'cosa buona e giusta', una scelta saggia non guardare al passato, ma disegnare la frazione in base a quello che è lo stile di corsa dei giorni nostri. Il ciclismo è cambiato ed oggi non esistono grimpeurs della statura di Fausto Coppi capaci di simili imprese. Fermo restando che le strade sterrate del 1949 sono ormai asfaltate e le salite del Monginevro e del Sestriere sono più che 'pedalabili' e nemmeno lontane parenti di quelle di settant'anni fa. Senza contare che quella lunga discesa di oltre 50 km fino a Pinerolo oggi sarebbe opportunità di placidi ricongiungimenti dopo le epopee montane. La Cuneo-Pinerolo del '49 non farebbe selezione, perché non ci sono Coppi e Bartali e perché si corre in maniera diversa.

Scelta che, pertanto, condividiamo: sarebbe il confronto tra il ciclismo di oggi e ciò che non esiste più ed il rischio è di sminuire all'inverosimile le fatiche degli odierni eroi del Giro dinanzi a qualcosa che resta unico: paragonabile alle piramidi egiziane o al Colosseo, un monumento ai posteri. Qualcosa che la maggior parte di noi non ha vissuto direttamente, solo nei racconti e nelle vecchie immagini attraverso le quali abbiamo imparato ad amare il ciclismo. Meglio così, perché ciò che viviamo oggi ci sembrerebbe improvvisamente meno bello.