Nella procedura di accertamento dei redditi nei confronti di contribuenti che hanno omesso di presentare le relative dichiarazioni, l'Agenzia delle Entrate è dotata di discrezionalità decisoria relativamente a quale procedura legale di accertamento attuare per meglio raggiungere il fine dell'emersione e della conseguente tassazione dei redditi non dichiarati. In estrema sintesi, sono queste le conclusioni a cui è pervenuta la Sezione Tributaria Civile della Suprema Corte di Cassazione nelle motivazioni della Sentenza n° 26369/2019 depositata in Cancelleria lo scorso 17 ottobre.
I fatti che hanno portato al giudizio della Corte
La Suprema Corte di Cassazione si è trovata di fronte al ricorso presentato dalla stessa Agenzia delle Entrate contro la decisione della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia che aveva accolto le doglianze di una contribuente di Varese, titolare di una Srl, che lamentava il fatto che l'amministrazione finanziaria aveva proceduto a determinare i redditi non dichiarati dalla società di capitali tramite la procedura dell'accertamento induttivo disciplinato dall' articolo 39, comma 2, lettere c) e d) del DPR 600/1973, invece che procedere ad applicare la procedura dell'accertamento d'ufficio disciplinata dall'articolo 41 dello stesso DPR 600/1973.
Di conseguenza, la contribuente lamentava anche che a seguito dell'applicazione della procedura di cui all'articolo 39, le era stata applicata una percentuale eccessiva di ricavi e minori costi, che andava, a suo parere rideterminata. La CTR della Lombardia ha dato ragione alla contribuente in quanto non sarebbe esistito il presupposto normativo per l'applicazione della procedura di accertamento induttivo in quanto la Srl aveva predisposto anche le opportune scritture contabili anche se, ad onor del vero, a partire dal 1998 queste ultime non erano state tenute in maniera regolare e sistematica, tanto è vero che l'omessa dichiarazione Iva riguardava gli anni successivi 2003 e 2004. Per la Commissione Tributaria Regionale, quindi, l'amministrazione finanziaria avrebbe dovuto applicare la procedura descritta nel successivo articolo 41 del DPR 600/1973.
La decisione della Cassazione
Il Supremo Collegio ha ritenuto fondato il ricorso presentato dall'Agenzia delle Entrate. Il giudice di legittimità ha fatto notare, infatti, come nel caso specifico si siano verificati entrambi i presupposti alla base degli articoli 39 e 41 del DPR 600/1973 e cioè l'omessa dichiarazione Iva e l'incompletezza delle scritture contabili della Srl. Tali fatti, come era stato evidenziato nei giudizi di merito, erano stati accertati mediante accesso diretto da parte dei funzionari dell'Agenzia delle Entrate presso i locali dell'azienda e non erano stati contestati in alcun modo dalla contribuente.
Di conseguenza, la Corte di Cassazione, dando seguito ad un suo consolidato orientamento, ha specificato che rientra nel potere della Pubblica Amministrazione finanziaria, nell'ambito della previsione di legge, la scelta del corrispondente metodo da utilizzare per procedere all'accertamento, di cui il contribuente può dolersi solo se gliene derivi un pregiudizio sostanziale.
La Corte, infatti, fa notare come le due procedure di accertamento siano quasi del tutto identiche. L'unica differenza tra l'accertamento induttivo disciplinato dall'articolo 39 del DPR 600/1973 e quello d'ufficio disciplinato dall'articolo 41 dello stesso DPR, è data dal fatto che nel caso di quest'ultimo la norma prevede che l'accertamento operato dall'amministrazione finanziaria può prescindere in tutto o in parte dalle risultanze della dichiarazione, se presentata, e dalle eventuali scritture contabili del contribuente ancorché regolarmente tenute. Di conseguenza, l'articolo 41 del DPR 600/1973 prevede la possibilità da parte dell'amministrazione finanziaria di utilizzare una sorta di "presunzioni supersemplici"le quali, determinando un'inversione dell'onere della prova a carico del contribuente, impongono a quest'ultimo di provare gli elementi contrari utili a dimostrare che il reddito non è stato prodotto o è stato prodotto in misura inferiore rispetto a quella indicata dall'Agenzia delle Entrate.
E questo non farebbe altro che aggravare ulteriormente la posizione della contribuente. Da ciò deriva l'infondatezza della richiesta della contribuente di applicare la procedura dell'accertamento d'ufficio.
In conclusione accogliendo il ricorso dell'Agenzia delle Entrate, il Supremo Collegio enuncia il seguente principio di diritto affermando che: "Qualora a seguito di verifica da parte dell'amministrazione finanziaria risultino integrate le condizioni di cui all'articolo 39, comma 2, del DPR 600/1973, poiché il contribuente non è in grado di esibire le scritture contabili all'anno oggetto di controllo, l'Ufficio è legittimato a procedere ad accertamento induttivo ai sensi dello stesso articolo 39, comma 2, DPR 600/1973, non essendo vincolato nella metodica da utilizzare, pur se il contribuente non ha presentato le dichiarazioni fiscali, spettandogli il potere di scegliere, nell'ambito dei criteri stabiliti dalla legge, quello ritenuto, nel caso, utile per il buon fine dell'azione accertativa".