La dichiarazione dei redditi che sia stata compilata dal contribuente o dal suo intermediario abilitato in maniera erronea non può essere emendata, cioè corretta e sostituita con una dichiarazione integrativa, se non sulla base di errori materiali, formali e di calcolo chiaramente identificabili. Neanche allo scopo di esercitare una facoltà concessa al contribuente dallo stesso ordinamento fiscale.
Queste in sintesi le conclusioni a cui è giunta la Sezione Tributaria Civile della Suprema Corte di Cassazione pubblicate nella Sentenza n° 31237/2019 depositata in Cancelleria venerdì 29 novembre 2019.
I fatti che hanno portato alla decisione della Corte
La Suprema Corte di Cassazione si è trovata di fronte al ricorso presentato da una Società Cooperativa contro Agenzia delle Entrate Riscossione per l'invio alla società contribuente di una cartella di pagamento per l'adeguamento del reddito soggetto a tassazione per Irap, Iva e Ires per un importo complessivo di 122734,79 euro. La Cooperativa aveva presentato ricorso sia davanti alla Commissione Tributaria Provinciale di Roma, sia alla Commissione Tributaria Regionale del Lazio.
Entrambi i giudici tributari di merito avevano rigettato le ragioni della società contribuente. In particolare la CTR del Lazio aveva fatto notare come l'asserzione della società contribuente in base alla quale la notifica della cartella di pagamento fosse da ritenersi inesistente era priva di ogni fondamento. Inoltre, la contribuente avrebbe inviato la cosiddetta dichiarazione integrativa non nei termini di legge. Di conseguenza, la stessa era da ritenersi tardiva. Per tali motivi aveva rigettato il ricorso della Cooperativa che, quindi, presentava ricorso per Cassazione.
La decisione della Suprema Corte
Il Supremo Collegio ha ritenuto di dover rigettare le ragioni della Società Cooperativa confermando quanto deciso dai giudici di merito.
Nello specifico la Corte di Cassazione ha precisato che per quanto riguarda l'asserita inesistenza della notifica della cartella di pagamento, un consolidato orientamento giurisprudenziale, ribadito anche dalle Sezioni Unite, sostiene una posizione molto precisa. E cioè che l'inesistenza della notificazione è configurabile solo in caso di mancanza materiale dell'atto. E nelle ipotesi in cui venga posta in essere un'attività priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere riconoscibile un atto qualificabile come notificazione. Il giudice di legittimità precisa anche che, in ogni caso, i cosiddetti vizi della modalità della notifica rendono l'atto sempre nullo. Questo, viene specificato, è sanabile solo ed esclusivamente se si è ottenuto il raggiungimento dello scopo.
Ciò non toglie che come viene disposto dall'articolo 26 del DPR 602/1973 in tema di "notificazione della cartella di pagamento" l'Agente della Riscossione possa legittimamente procedere alla notifica mediante invio di lettera raccomandata con avviso di ricevimento, come avvenuto nel caso specifico. Tanto più che l'avviso di ricevimento o la copia della stessa cartella esattoriale deve essere conservata a cura dell'Agente della Riscossione per cinque anni, come prova dell'avvenuta notifica.
Per quanto riguarda invece la possibile emendabilità della dichiarazione dei redditi della società cooperativa contribuente, il Supremo Collegio ritiene che la CTR del Lazio non abbia commesso alcun errore negando la possbilità di emendare la dichiarazione dei redditi erronea senza limiti di tempo.
Anche se detti errori sono risultati a danno del contribuente.
La Corte di Cassazione riconosce che la dichiarazione dei redditi, da un punto di vista strettamente giuridico, deve essere considerata una mera dichiarazione di scienza da parte del contribuente stesso. Di conseguenza, almeno in linea teorica, sarebbe sempre modificabile o emendabile nel caso ci si trovasse di fronte a errori che espongano il contribuente al pagamento di tributi maggiori. D'altra parte, il Supremo Collegio evidenzia come, all'interno della stessa dichiarazione dei redditi, il contribuente possa operare delle vere e proprie scelte in linea con quanto deciso dal Legislatore in merito ad agevolazioni, detrazioni, deduzioni o compensazioni fiscali.
Nel momento in cui il contribuente esprime, all'interno della dichiarazione e con la compilazione di specifici modelli predisposti dalla Pubblica Amministrazione finanziaria, la propria volontà di aderire o usufruire di qualche particolare beneficio fiscale ci troviamo di fronte ad un vero e proprio atto negoziale. Come tale, questo atto è irretrattabile, anche in caso di errore, a meno che il contribuente stesso dimostri che questo fosse conosciuto o conoscibile dalla Pubblica Amministrazione.
Da ciò deriva, secondo la Cassazione, che la dichiarazione dei redditi può essere emendata solo in presenza di veri e propri errori materiali o anche formali. Tra questi, a titolo puramente esemplificativo e non esaustivo, si possono citare i veri e propri errori di calcolo, oppure un erronea liquidazione degli importi o l'esatta individuazione della voce del modello da compilare nella quale collocare la posta contabile.
Nel caso in cui, precisa la Corte, un contribuente voglia esercitare una precisa opzione messagli a disposizione dall'ordinamento fiscale esercita una precisa volontà negoziale. Di conseguenza, chiarisce la Cassazione, questa espressa volontà del contribuente incide direttamente sull'obbligazione tributaria e sul suo effetto vincolante. Da ciò deriva che eventuali errori della volontà negoziale possono essere considerati rilevanti solo in caso sussistano i requisiti di essenzialità e riconoscibilità ai sensi dell'articolo 1428 del Codice Civile.
Nello specifico il contribuente con la dichiarazione integrativa voleva uniformarsi agli studi di settore. Ma, per poter emendare correttamente la dichiarazione dei redditi erronea avrebbe dovuto indicare specificamente quale fosse l'errore commesso che andava a correggere.
Mentre nel caso specifico la società contribuente è stata estremamente generica affermando che si trattava di un errore commesso dall'intermediario. Inoltre, la società cooperativa avrebbe dovuto fornire la prova del requisito di obiettiva riconoscibilità dell'errore. Cosa che non si è verificata. Per tali motivi il ricorso è stato rigettato.