AlphaGo Zero è il nuovo progetto di DeepMind dedicato all’omonimo gioco da tavolo strategico in cui l’intelligenza artificiale di Google era riuscita a sconfiggere i campioni mondiali umani. Ma – a differenza delle ricerche pregresse – questa volta gli sviluppatori hanno realizzato un programma capace d’imparare le mosse in totale autonomia: l’algoritmo inizia a giocare come un principiante e acquisisce da sé le abilità per competere coi giocatori più esperti. Un avanzamento straordinario che ha permesso di battere il software precedente, autore della vittoria su Lee Sedol, per 100 incontri a 0.

I risultati ottenuti in appena 40 giorni hanno sorpreso gli stessi ricercatori. Se finora i programmi di DeepMind imparavano a giocare da un archivio di mosse dei migliori giocatori umani, AlphaGo Zero può contare soltanto sulle proprie capacità: un’indipendenza cognitiva che dimostra quanto sia urgente una commissione etica che stabilisca dei limiti entro i quali la ricerca sull’intelligenza artificiale possa operare. Il software più sofisticato al mondo per il gioco del Go pone dei seri interrogativi sul futuro del machine learning che – nell’immaginario comune – sarebbe giusto una questione di big data.

AlphaGo Zero vs. AlphaGo Lee e AlphaGo Master

Il percorso autonomo di AlphaGo Zero, addestratosi contro se stesso, è stato subito incoraggiante.

In tre giorni il programma ha superato le abilità della versione responsabile della sconfitta di Sedol nel 2015, in 21 ha raggiunto il livello di quella che ha battuto Ke Jie nel 2017 e al quarantesimo giorno ha sorpassato tutti i software di Go esistenti. Ciò a partire soltanto dalla conoscenza delle regole del gioco: DeepMind non ha fornito altre informazioni, quali le migliori strategie dei campioni del mondo.

A prescindere dal campo d’applicazione, l’intelligenza artificiale in genere è sostenuta dal feedback umano. AlphaGo Zero, dimostrando delle capacità d’auto-apprendimento straordinarie, sottolinea come il livello raggiunto dalle ricerche odierne abbia superato il paradigma della dipendenza dal sapere e dall’esperienza degli esseri umani.

È prematuro giudicare che cosa ciò possa comportare per le future applicazioni, ma l’idea che un software possa imparare qualcosa da sé ha un fascino insieme entusiasmante e terrificante: evoca delle immagini più vicine alla fantascienza.