Facebook “sfrutta le vulnerabilità psicologiche delle persone” e funziona come uno strumento di “validazione sociale”, influenzando le modalità attraverso cui gli individui costruiscono i rapporti interpersonali e si relazionano alla società in cui vivono. Ad affermarlo è stato Sean Parker, ex presidente della società di Menlo Park. Intervistato nel corso di una conferenza a Philadelphia, Parker non ha esitato a rilasciare dure dichiarazioni sul social network di Mark Zuckerberg, contestando, in particolar modo, il circolo vizioso generato dalle funzionalità offerte dalla piattaforma.

Il meccanismo dei like e dei commenti, infatti, imbriglia come una trappola gli utenti del social network e li incoraggia a condividere foto, riflessioni e opinioni con i propri contatti o, in alcuni casi, con una platea più ampia, con l’obiettivo di ottenere una sorta di approvazione social del proprio stile di vita.

Facebook come una vetrina

Oggi milionario di 38 anni, Sean Parker è stato direttore di Facebook quando il social network di Mark Zuckerberg e Eduardo Saverin stava ancora muovendo i suoi primi passi, nel 2004, appena cinque mesi dopo essere stato fondato, svolgendo un ruolo fondamentale nella definizione di alcune caratteristiche e funzioni della piattaforma, determinanti per il suo successivo sviluppo.

Fondatore di Napster, software per lo scambio musicale peer-to-peer, Sean Parker era già noto prima della collaborazione con Zuckerberg per aver ideato numerosi siti di successo. L’ex direttore di Facebook ha spiegato che alla base della realizzazione di questo tipo di applicazioni vi è l’intenzione di ideare un meccanismo che sia in grado di attrarre gli utenti e far sì che essi investano tempo e attenzione nella piattaforma.

Nello specifico, con Facebook ciò è stato possibile proprio grazie al “loop” di validazione sociale che si innesca con un like ad una foto o aggiungendo una reazione o un commento ad un post, meccanismo che, facendo leva sulla vulnerabilità della psicologia umana, spinge gli utenti a produrre più contributi e interagire maggiormente con gli altri membri della piattaforma social.

“Lo capivamo perfettamente, ma lo abbiamo fatto lo stesso”, ha ammesso Parker, aggiungendo che le sue preoccupazioni riguardano soprattutto il modo in cui tutto ciò possa incidere negativamente sul comportamento dei bambini e sullo sviluppo della loro personalità.

Le indagini sugli effetti dei social network

Sean Parker, del resto, certamente non è il primo a sollevare la questione. Negli ultimi anni, infatti, sono state condotte numerose ricerche sull’alterazione degli stati d’animo determinata dagli effetti dei social network sulle persone. Si tratta di indagini che, pur restando confinate all’ambito della pura osservazione, hanno messo in risalto l’emergere di ansia, paure, irritabilità, iper esposizione e la cosiddetta FOMO, ovvero “fear of mission out”, la paura di essere emarginati e venire esclusi dalla rete di notizie e aggiornamenti. Tuttavia, soltanto poche di queste ricerche – tra cui una condotta dall’Università della Pennsylvania – si sono concentrate sui possibili effetti del social network sull’utenza più giovane.