Arriva l'autunno e non poteva mancare l'ultima serie made in Hbo in Italia in onda su Sky Atlantic con un differenziale di poco più di un mese rispetto agli States. La serie The deuce ideata da David Simon e George Pellecanos narra dell'emersione in una New York che va dai primissimi anni '70 verso l'inizio degli '80 del mercato del libertinaggio e della cocaina, mentre l'Hiv inizia a covare sotto la cenere. Due fratelli gemelli - omo o eterozigoti? - Vincent e Franckie lavorono per la mafia americana: uno buono e lavoratore, l'altro scommettitore incallito e nullafacente.
Il mercato dell'amore a pagamento è ancora lasciato a leoni neri da strada ma qualcosa sembra stia cambiando. L'unica che per ora non ha un "paparino" è Candie - Maggie Gyllenhaal - , che cerca di tenere per sé quello che ha per sostenere suo figlio che è in affidamento presso i nonni.
Belle le ambientazioni anni '70, ma The deuce sembra una serie di film ad episodi
La prima impressione è che le ambientazioni della serie siano rigorose e riuscite già dalla sigla che scimmiotta consapevolmente telefilm in voga in quegli anni '70. Tutto fatto bene: a partire dai borselli e dai pantaloni a zampa di elefante. Gli attori tutti all'altezza a partire da James Franco che bene si sdoppia nella veste didima dei fratelli gemelli, anche se all'inizio si fa un po' di fatica a capire chi è dei due.La Gyllenhaal è strepitosa con le sue considerazioni sulla professionalità del lavoro: incarna un po' il sogno americano in versione marciapiede.
Una citazione di merito va a Margarita Levieva che in "The deuce" interpreta Abigal "Abbie" Parker una studentessa che sceglie consapevolmente di lasciare l'università per legarsi a Vincent, in crisi con la prima moglie.
Cos'è che allora stona? Mentre in alcune ultime produzioni fatte da major mainstream la narrazione tendeva a fare della serie tante puntate di un lungo film, ora in "The deuce" avviene l'inverso.
Ogni puntata della serie si fa film: non si spiegherebbe infatti la scelta dei produttori di confezionare otto episodi che durano 1 ora e venti minuti ciascuno. Un po' troppo per i canoni in voga: massimo tra 40 e 50 minuti. Forse questa scelta è dovuta anche a dare al visionario spettatore un clima più centrato per quegli anni che non tutti hanno vissuto, ma chi in quegli anni c'è stato considera questa scelta-feuilleton troppo polpettosa per i palati digitali odierni. Ci sembra che il romanzo d'appendice abbia fatto i suoi giorni e di Balzac in giro non se ne vedano.