Mai un’omelia domenicale, pronunciata dal pulpito di una chiesa, aveva fatto tanto discutere. La predica in questione è quella fatta, domenica scorsa nel paese ligure di San Bartolomeo al Mare, in provincia di Imperia, dal padre comboniano attivo in Sud Sudan Pietro Ferrari. Il missionario, invitato dalla diocesi per condividere le sue esperienze di carità verso i poveri, si è invece scagliato contro Giulio Regeni, infangando di fatto la memoria del giovane ricercatore dell’università di Cambridge ammazzato al Cairo, in Egitto, in circostanze ancora misteriose.

Secondo quanto riportato dal quotidiano La Stampa, Ferrari avrebbe parlato di Regeni come uno che i guai se li sarebbe andati a cercare in un paese in lotta contro il terrorismo dell’Isis. Concetti ripetuti al telefono anche ieri dopo essere stato contattato dai giornalisti della stessa testata. I primi a condannare le parole del comboniano sono proprio il parroco di San Bartolomeo, don Renato Elena, e il sindaco del paese Valerio Urso.

Le frasi crudeli di Ferrari contro Regeni: ‘Un tormentone’

Secondo quanto proferito dal pulpito domenica scorsa da padre Ferrari, dunque, Giulio Regeni, il ragazzo barbaramente torturato e ucciso in Egitto più di un anno fa, se la sarebbe andata a cercare da solo quella triste sorte.

Secondo il pio missionario comboniano, infatti, i mass media commettono un errore a dare tanta importanza al suo caso perché, parole testuali, “è andato a fare il furbo e sapeva benissimo dove si stava andando a infilare”. Insomma, una sorta di bamboccione viziato il quale non si è reso conto “che ogni giorno muoiono migliaia di poveri” e che, con la sua morte, ha innescato quello che Ferrari cinicamente definisce un “tormentone di cui non se ne può più”.

Poi, il prete si lancia in un assurdo parallelismo tra le “tante guerre dimenticate” nel mondo e l’ingiustificato interesse suscitato dal caso Regeni che, secondo lui, ha fatto venire il “dente avvelenato” a molti missionari.

Il governo egiziano giustificato dalla lotta all’Isis?

Ma non è finita qui perché, contattato il giorno successivo dai giornalisti de La Stampa, Ferrari ha peggiorato la sua situazione cercando quasi di giustificare la criminale reazione del governo egiziano (primo sospettato per la morte di Giulio).

Come si fa, si chiede il missionario, rivolgendosi direttamente al ragazzo morto con raro senso del macabro, ad andare ad organizzare riunioni con il sindacato egiziano degli ambulanti, considerato un nemico dagli uomini del presidente Al Sisi impegnati nello stesso momento in una lotta all’ultimo sangue contro i terroristi dell’Isis? “Immagina tu, cosa vuoi che facciano”, insiste Ferrari riferendosi alla reazione delle forze di sicurezza del raìs. E poi, domanda finale, perché l’università di Cambridge ha lasciato partire proprio lui e non un inglese o un francese? Risposta: “Ce le tiriamo addosso le bastonate in quelle situazioni”. Il segreto di Stato opposto dall’Egitto su fatti di sangue, infatti, viene paragonato a quello del governo italiano sui tragici fatti avvenuti in Etiopia durante l’occupazione fascista negli anni ’30.