Quando entri nel mito poi è difficile uscirne. Specialmente quando le tue opere parlano una lingua che trascende le mode, i canoni e i tempi; e specialmente se sei un regista in grado di far evolvere un genere e tutto l’immaginario collettivo che lo circonda.

Prendete Wes Craven, classe 1939 e stroncato il 30 agosto dai titoli di coda di una malattia incurabile al cervello: visionario quanto basta da rinnovare in salsa pop il genere horror con due saghe, quella di ‘Nightmare’ e ‘Scream’, che hanno fatto la fortuna del Cinema (incassi multimediali ragguardevoli pure tra home video e piccolo schermo), e stilista dotato di abiti in celluloide destinati a rimanere icone di Hollywood fin dal 1984 (l’anno di ‘Nightmare - Dal profondo della notte’).

Dal profondo della notte

Eppure Craven non aveva iniziato così, neppure aveva in mente di trasformarsi in un maestro del genere horror. Ma la vita accade sempre quando stai facendo altro, ed ecco allora la passione del cinema che ti prende quando meno te lo aspetti: a metà anni ’60 insegna all’università materie letterarie ma poi la svolta del trasferimento da Baltimora a New York dopo il divorzio, i lavori saltuari (tassista, fattorino in una casa di produzione) e tutto per affinarsi nelle lingue del montaggio e della ripresa. E che ad inizio anni ’70 daranno il la aduna pellicola softcore girata in coppia con quel Sean Cunningham destinato a dirigere nel 1980 un’altra horror-pietra miliare, ‘Venerdì 13’ (quando si dice il destino).

Craven aspetterà quattro anni per sfondare il box-office con quell’incubo che non solo regala al mondo Freddy Krueger, un cattivo da urlo (letteralmente…) destinato anche lui a far epoca, ma pure il debutto in grande stile di Johnny Depp(qui c’è lo zampino delle sue figlie, che vedendo le sue foto di provino implorarono il padre di dargli una parte).

Regista di razza. E di web

Craven se ne va con un portfolio di opere notevoli anche pre-Nightmare, sempre ad alto tasso di adrenalina, e non solo horror (è suo ‘Il serpente e l’arcobaleno’, 1988, tratto dall’omonimo libro dell’antropologo Wade Davis), più un discreto curriculum di talent scout (‘L’ultima casa a sinistra’, ispirato al grande Bergman, ‘Le colline hanno gli occhi’, atmosfere molto Stephen King, e Sharon Stone in uno dei suoi primi ruoli importanti in ‘Benedizione mortale’; forse pure l’indirizzo londinese del cinefilo Dylan Dog, Craven Road, si ispira a lui).

Ma non puoi salutare un maestro senza ricordare almeno per una riga quella genialata ironico e metacinematografica che è ‘Scream’, dove l’horror è un pretesto di stile per riflettere sul cinema di ogni tempo, sui suoi generi (tipicamente hollywoodiani) e sulle tecniche per raccontarlo.

Dalì Wes Craven ha capito come pochi (Steven Spielberg, George Lucas e in seguito Peter Jackson e rari altri) che il futuro del grande schermo non era più solo nell’horror e nella fantasia, ma pure nel piccolo, immenso monitor del web: far dunque (ri)vivere le proprie opere nel digitale e nello streaming per invadere senza remore l’immaginario di sogni in grado così di incarnarsi più volte, e senza sosta. Ecco perché il suo ruolo da regista negli ultimi anni si è allargato anche a quello di produttore esecutivo: in tal modo ‘Scream’ diventa serie tv e approda su MTV. Un bel modo di salutare la vita accendendo i brividi di nuove generazioni a ritmo di rock. Esattamente come ai tempi del primo 'Nightmare’, ma stavolta pure a tempo di web.