“Una delle missioni del romanzo è raccontare quello che non esiste”. Nella postfazione di Francesca Lazzarato, c’è una chiave di lettura, non l’unica, di “Purgatorio” di Tomás Eloy Martínez (Edizioni Sur). Non l’unica perché, leggendolo, ci si trova subito a resistere alla tentazione di andare a verificare se Dupuy, il deus ex machina della dittatura militare Argentina, sia davvero esistito o se la sparizione di una mantellina della regina di Spagna durante un ricevimento a Buenos Aires sia mai avvenuta (per pura curiosità, le risposte ai due dubbi sono rispettivamente “no” e “sì”).

Ci si trova, dunque, di fronte a una scrittura che dà il senso immediato della verità. In effetti, però, Eloy Martínez dimostra – anche in questa occasione – una sua caratteristica peculiare: la capacità, pur mantenendo nettamente separate le figure del giornalista e dello scrittore che in lui convivono, di avvalersi delle migliori potenzialità narrative di entrambi i registri. Il lettore viene subito inghiottito nel vortice.

Dal bell’incipit (“Simón Cardoso era morto da trent’anni quando Emilia Dupuy, sua moglie, lo incontrò all’ora di pranzo nella saletta riservata di Trude Tuesday”) al “Non ti permetterò di andartene da solo. La vera identità delle persone sono i ricordi” di poche pagine dopo, in un alternarsi di piani temporali e di narratori.

E poi le suggestioni potenti che il romanzo offre, a chiarire se stesso, come la leggenda di Mary Ellis o il sogno dello scrittore in casa di riposo con un cane nero che gli dice: "Le cose che non esistono sono molto più numerose di quelle che riescono a esistere. Quello che non esisterà mai è infinito. I semi che non hanno trovato né terra né acqua e non sono diventati piante, le creature mai nate, i personaggi mai inventati.

[…] Quello che non riesce a essere non sa mai che sarebbe potuto esistere. I romanzi si scrivono per questo: per rimediare all’assenza perpetua di quello che non è mai esistito". L’assenza perpetua di colui che invece è esistito ma non esiste più, del marito desaparecido, porta Emilia a costruire una ricerca che è, insieme, memoria e illusione, ricordo e realtà.

"Un tribunale l’ha dichiarato morto, e mi sono sforzata di ucciderlo dentro di me. Dato che non ha una tomba, la sua tomba sono stata io. Ora vuole uscire".

La ricerca dell'Argentina tra reale e irreale

La ricerca di Emilia, del bene amato, è anche la ricerca di Eloy Martínez, del suo Paese, di quell’Argentina che lo vide esule, di quell’Argentina fatta di Dio-Patria-Famiglia, dei Mondiali di calcio del 1978, dei giornalisti pagati dal regime per descrivere l’irrealtà. Di quell’Argentina che, a proposito della sparizione della cappa della regina spagnola, viene così dipinta: "Tante realtà svanivano da un istante all’altro, in Argentina, tanta gente smetteva improvvisamente di esserci e di esistere senza spiegazioni, che non c’era da stupirsi se anche la cappa della regina diventava di colpo irreale, un’altra manifestazione della magia perversa che nel paese era ormai un gioco quotidiano". Del finale emozionante diremo solo che colpisce al cuore come Emilia colpisce gli specchi e che pure noi, con Parmenide, potremmo imparare che “anche l’essere si nasconde nelle pieghe del nulla”.