Migliaia di operatori di call center - circa 7000 secondo Riccardo Saccone della Slc-Cgil - hanno sfilato ieri mattina per le strade di Roma per quella che è forse la prima grande mobilitazione del settore. Lo sciopero, indetto dai sindacati di categoria SLC-Cgil, Fistel-Cisl e Uilcom-Uil, ha avuto secondo gli organizzatori una partecipazione eccezionale, superiore all'80%.

Oggetto della protesta di lavoratori e sindacati sono innanzitutto le massicce delocalizzazioni che colpiscono il settore e le gare al massimo ribasso che ne sono causa.

Per ridurre al massimo i costi, infatti, le aziende, oltre a comprimere fortemente i salari e a ricorrere al lavoro nero, sempre più spesso spostano le attività in Paesi come Albania, Romania e Tunisia, dove le tutele sono assenti e dove possono pagare salari enormemente inferiori.

Già nel dicembre scorso un accordo di settore tra i sindacati e le organizzazioni padronali prevedeva per i neo-assunti, per il primo anno di lavoro, una sorta di "salario di ingresso" del 40% inferiore rispetto alla paga minima, riduzione che rientrerebbe progressivamente nei tre anni successivi.

Inoltre, nonostante la legge preveda che il cittadino venga informato sul Paese in cui si trova l'operatore con cui sta parlando e - nel caso sia l'utente a chiamare - abbia il diritto di farsi "girare" la chiamata ad un call center operante in Italia, questa norma - denunciano i sindacati - viene spesso ignorata dalle aziende.

Oltre allo sciopero, è stata anche lanciata una petizione indirizzata alla presidente della Camera Laura Boldrini, che, su Twitter, ha risposto dichiarandosi «Vicina ai dipendenti dei callcenter in piazza.», auspicando che vengano recepite le regole Ue sugli appalti e dichiarando che è in corso un'indagine conoscitiva di Montecitorio sulla situazione dei lavoratori del settore.