Due recenti sentenze della Corte di Cassazione aprono alla possibilità di controlli più stringenti da parte dell'Agenzia delle Entrate sui versamenti di contante sul conto corrente da parte sia di professionisti che di privati cittadini, in quanto mancando un'adeguata giustificazione potrebbero essere considerati come redditi in nero. Mentre il problema non esisterebbe, ovviamente, per i prelievi dal proprio conto bancario e postale. Questo sarebbe il risultato di due recenti interpretazioni del disposto dell'articolo 32 primo comma n°2 del Dpr 29/09/1973 n°600 recante disposizioni in merito all'accertamento delle imposte sui redditi.

La sentenza della Cassazione di gennaio sui privati

La prima sentenza della Cassazione, depositata a gennaio 2017, stabilisce che i versamenti di contante sul conto corrente possono giustificare una maggiore disponibilità, quindi un reddito maggiore sia da parte dei professionisti che da parte dei privati. Di conseguenza, questo permette all'Agenzia delle Entrate di aprire delle indagini finanziarie su privati cittadini semplicemente in base alla cronologia dei versamenti sul conto corrente.

Infatti, secondo quanto statuito dalla Cassazione, anche se l'articolo 32 parla apertamente di ricavi e scritture contabili, questo riferimento non può costituire un impedimento all'azione di accertamento del Fisco.

Infatti, l'Agenzia delle Entrate potrebbe procedere al controllo semplicemente sulla base del principio di ragionevolezza, che porta a presumere che i versamenti bancari implichino una maggiore disponibilità reddituale.

La sentenza di agosto sui lavoratori autonomi

D'altra parte, una successiva sentenza sempre della stessa Corte, depositata l'8 agosto 2017, ha modificato nuovamente il proprio orientamento, relativamente agli accertamenti presuntivi nei confronti dei lavoratori autonomi.

Infatti, con la legge finanziaria del 2005 i controlli erano stati estesi anche a questi soggetti oltre che alle imprese. Ma nel 2014 la Corte Costituzionale aveva dichiarato illegittima questa estensione. Fino all'8 agosto, appunto.

Secondo l'attuale interpretazione, anche se da una lettura superficiale della sentenza del 2014 della Corte Costituzionale si evince l'illegittimità descritta sopra, una lettura più attenta delle motivazioni addotte dalla Consulta porta ad un'interpretazione contraria, in senso più restrittivo.

E questo, in quanto nelle motivazioni della sentenza del 2014 non si fa mai riferimento ai versamenti.

Di conseguenza, con una acrobazia interpretativa i giudici della Suprema Corte hanno stabilito che l'estensione continua ad essere illegittima per quanto riguarda i compensi dei professionisti. Tuttavia la presunzione di evasione continua a sussistere per i versamenti in conto corrente, giustificando così l'accertamento. Il tempo dirà se ci saranno ulteriori modifiche.