C'è un'Italia considerata minore e per questo spesso sottovalutata, una nazione rappresentata dai piccoli Comuni di tipo montano, siano essi alpini o appenninici. Insieme formano una fitta maglia del nostro territorio, un sistema di connessioni da tutelare e rilanciare sotto diversi aspetti. A tal proposito molti amministratori locali chiedono a gran voce investimenti per il recupero dei borghi ormai spopolati per un rilancio turistico oculato. L'obiettivo di molti è l'albergo diffuso, un sistema non invasivo che permette di evitare il degrado architettonico e di portare nuove presenze in maniera distribuita all'interno del sistema paese limitando a zero le nuove costruzioni.

Anche in questo caso le amministrazioni incontrano però diversi ostacoli. L'ospitalità diffusa nei borghi è regolata da leggi regionali, la regione capofila è la Campania che nel 2001 ha stilato il primo regolamento italiano seguendo le linee guida del professor Giancarlo Dall'Ara, colui che per primo ha messo a punto tale modello di ospitalità. Successivamente anche le altre regioni hanno legiferato in tal senso, consapevoli del fatto che queste operazioni svolgono un lavoro importante per le aree interne. La normativa può quindi risultare più o meno esauriente in base alla regione d'appartenenza e in alcuni casi ci si è arrivati con un colpevole ritardo che ha penalizzato alcuni ambiti rispetto ad altri.

La reperibilità di fondi per il recupero edilizio e la difficoltà nel raggiungimento degli eredi di immobili disabitati da tempo, questi sono alcuni dei problemi più frequenti per i Comuni impegnati nella progettazione di un albergo diffuso.

Una realtà piuttosto consolidata che sta raccogliendo frutti. La rete degli alberghi diffusi ha registrato una buona capacità di resistenza alla crisi economica e del settore turistico alberghiero, segnale di un cambiamento di rotta che porta lontano dalle lottizzazioni per seconde case e dai maxi alberghi spesso inoccupati per lunghi periodi.

A questo si aggiunga la crescita del turismo sportivo di tipo attivo, cioè di tutti quei turisti che viaggiano con l'intento di praticare sport a livello amatoriale, un target spesso molto qualificato ed esigente ma attento anche alle peculiarità del territorio. Un punto a favore delle realtà minori in grado di offrire elementi fondamentali per il turismo outdoor che ultimamente attrae quanto quello rivolto all'enogastronomia, altro elemento fondamentale per la valorizzazione delle aree interne.

Le aree montane hanno ben chiara la necessità di pianificare un futuro nuovo che si basi sul proprio passato, per fare tutto questo chiedono un aiuto normativo ed economico utile anche ad abbattere il divario tecnologico che penalizza molte località italiane. Ma dove si prendono questi investimenti? I sindaci un'idea ce l'hanno. Lo Stato lasci direttamente ai Comuni una quota dell'IMU proveniente delle migliaia di seconde case che compongono il patrimonio immobiliare montano ed obblighi le amministrazioni a redigere un piano a lungo termine finalizzato ad un turismo nuovo, più attento al turista ma anche al patrimonio ambientale. Una sfida interessante, per i piccoli Comuni a rischio di estinzione che per il governo centrale.