Stando a ciò che emerge da uno studioantropologico effettuato da un team diretto dall'emerito professor Lee R. Berger, paleoantropologo e ricercatore della Wits University, in una caverna del Sudafrica, nei pressi dell'area di Johannesburg definita dagli addetti del settore ''la culla dell'umanità'' (Cradle of Humankind), sarebbe stata rinvenuta una inedita specie umana, ''Homo Naledi'', una sorta di lontano cugino dell'uomo moderno, con arti analoghi a quelli posseduti dagli ominidi del gruppo Homo. Tale ritrovamento è avvenuto in una grotta a ben quaranta metri di profondità, dove sono stati recuperati oltre 1.500 resti appartenuti a una quindicina di individui (tra cui anziani e bambini) precedenti all'Homo Habilis ma persino all'Homo Erectus, ossia un ominide vissuto più di un milione e mezzo di anni or sono.

Il team di ricercatori ha dovuto affrontare ostacoli logistici per giungere così in profondità: a tal proposito, grazie al contributo economico di ''National Geographic'' è stato organizzato un bando con cui è stato possibile reclutare donne longilinee per addentrarsi nei meandri della grotta, considerando che esseri umani di altre misure non ce l'avrebbero fatta a inserirsi. Invece, grazie all'ausilio di un cavo di quasi 4 km è stato possibile raggiungere l'anfratto ed ammirare un vero e proprio puzzle di fossili umani.

L'inizio del progetto di ricerca è datato 2013-2014, biennio in cui lo statunitense Berger si è posto l'obiettivo di scoprire, spalleggiato dall'italiano Damiano Marchi, ricercatore universitario a Pisa, se l'origine del genere umano è da collegare propriamente a un'area specifica, ovvero l'Africa australe.

Il cranio di questo ominide, definito Homo Naledi, risulta molto piccolo, eppure probabilmente già sviluppato al punto di possedere il culto dei morti. Il suo cervello ha dimensioni pari a un terzo di quello posseduto da un uomo moderno ma riesce a stare piantato bene su una corporatura eretta. La sua altezza si può definire vicina al metro e mezzo, il peso sfiora appena i cinquanta chili, per il resto ha viso da scimmia bensì mani, denti e piedi come fosse un essere umano, possiamo definirlo una miscela di elementi primitivi e moderni.

Le sue spalle simili a uno scimpanzé gli davano la possibilità di arrampicarsi con agilità notevole. Il nome datogli, ''Naledi'', deriva dalla lingua locale Sesotho, la quale indica con tale vocabolo la Dinaledi Chamer, ossia la cosiddetta 'stanza delle stelle' ove è stata effettuata la scoperta.

Tuttavia, i primi dubbi della comunità scientifica sulla scoperta provengono da Chris Stringer, facente parte del London Natural History Museum, il quale ha difficoltà a datare esattamente il periodo a cui risalirebbe l'Homo Naledi per l'assenza di resti animali nella caverna, i quali potrebbero datare le ossa.

Inoltre, c'è molto mistero su come questi 15 individui fossero sepolti nelle viscere della Terra all'interno di un sentiero molto tortuoso con punti di passaggio strettissimi. Pare da escludere che questi individui siano stati trasportati da una catastrofe come un'alluvione ad esempio, più plausibile che siano rimasti intrappolati per una morte accidentale. Ma si tratta sempre di ipotesi, la cui più accreditata prevede che siano corpi defunti inseriti lì sotto per rispettare il loro sviluppato culto dei morti, in pratica potrebbe trattarsi del primo cimitero della storia dell'umanità. A proposito dell'impossibilità sulla datazione, il britannico Stringer dice: ''In mancanza di ossa di altri animali, l'unico altro materiale presente nella grotta databile al radio-carbonio sarebbero le ossa stesse, che però subirebbero danni irreversibili da un trattamento del genere ''.

Altri studiosi pongono persino delle perplessità sul fatto che quelle ossa siano una nuova specie. " Stando ai dati presentati, i fossili appartengono a individui primitivi di Homo erectus", sostiene Tim White dell'Università di Berkeley, "ovvero una specie identificata già nel corso dell'800 ''.