Si aprirà oggi un capitolo essenziale della storia dell’umanità: oggi entrerà in vigore l’Accordo di Parigi, un piano d’azione globale volto ad affrontare l’emergenza climatica. Frutto della Conferenza di Parigi sui cambiamenti climatici (COP 21 o CMP 11), l’Accordo di Parigi è stato finalizzato testualmente tra il 30 novembre e il 12 dicembre 2015 e, stracciando nelle tempistiche di adesione tutti i record precedenti, ha visto una profonda volontà della comunità internazionale di prendere seri provvedimenti sulla questione climatica che da anni è oggetto di un dibattito flemmatico.
Obiettivo principale dell’Accordo è la riduzione delle emissioni di gas serra per rallentare il global warming; negli ultimi anni, infatti, la temperatura della Terra è aumentata di circa 1,06 °C rispetto alla media delle temperature dal 1880 al 1920, con un tasso di crescita più alto negli ultimi decenni. Attualmente i paesi che hanno depositato lo strumento di ratifica sono 74 sui 197 che hanno raggiunto un’intesa e che partecipano alla Convenzione quadro della Nazioni Unite, ed è stata superata del 4% la soglia minima che era stata imposta per l’entrata in vigore dell’Accordo: è importante, infatti, ricordare le condizioni stringenti imposte per l’entrata in vigore del documento per le quali era necessaria la firma di almeno 55 nazioni responsabili di almeno il 55% delle emissioni di gas ad effetto serra.
Tra gli obiettivi dell’Accordo vi è laTrasparenza, l'Adattamento e trovareSoluzioni per i danni e le perdite.I governi devono riunirsi ogni 5 anni per stabilire obiettivi sempre più ambiziosi al pari con l’avanzamento scientifico e devono riferire con trasparenza e responsabilità agli Stati Membri quali siano i provvedimenti adottati per raggiungere i propri obiettivi e quali siano i progressi compiuti verso l’obiettivo a lungo termine.
I governi devono rafforzare le capacità delle società di affrontare gli impatti sui cambiamenti climatici e devono fornire un sostegno nazionale consistente e continuo ai paesi in via di sviluppo. Gli attori impegnati nell’Accordo di Parigi devono impegnarsi per minimizzare e affrontare perdite e danni causati dal cambiamento climatico e devono cooperare per migliorare gli interventi, il sostegno e l'assistenza in situazioni di emergenza.
L’Accordo riconosce, inoltre, precise responsabilità a soggetti che non ne sono parte. Riconosce, infatti, a città, enti a livello subnazionale e società civile il dovere di intensificare i loro sforzi e contribuire alla riduzione delle emissioni, ridurre la vulnerabilità agli effetti negativi dei cambiamenti climatici e incoraggiare la cooperazione regionale e internazionale. Cooperazione e solidarietà, rinvigorimento della resilienza climatica, accentuazione dei diritti umani, fiducia nella scienza e rispetto della natura e della biodiversità a prescindere dalla loro efficacia sono altri concetti-chiave dell’Accordo che mira, innanzitutto, all’incoraggiamento della trasformazione dei settori industriali e non e a indicare la direzione da perseguire e gli strumenti che devono essere adottati da una società civile fatta di cittadini, elettori, istituzioni finanziare e imprese che, tramite un coinvolgimento diretto, sono chiamati a trovare relazioni tra più ambiti d’azione e a creare gesti unilaterali.
È indiscutibile il coinvolgimento diretto da parte delle nazioni che prima e durante la Conferenza hanno presentato dei piani di azione completi, seppur ancora discutibili per gli obiettivi ambiziosi prefissati, e che hanno deciso di prendere in mano la situazione dato il triste record che ha fatto passare alla storia il 2016 come l’anno in cui è stato registrato il livello più alto di CO2 nell’atmosfera. La Terra è fortemente in crisi ed è necessario che la consapevolezza di ciò, tanto forte da far anticipare l’entrata in vigore dell’Accordo dal 2020 al 2016, perduri e riesca a far mettere da parte un riluttante egoismo economico globale, almeno in questo ambito.