Rimasta oscura l'origine del passaggio di una nuvola radioattiva sull'Europa del Nord, evento registratosi nelle ultime due settimane del trascorso gennaio. Prime rilevazioni al confine tra Norvegia e Russia, sulla penisola di Kola nei pressi della stazione norvegese Svanhovd; successivamente lo stesso isotopo è stato misurato nella Lapponia finlandese e a distanza di pochi giorni si è arrivati in Polonia, in Repubblica Ceca e nella Germania nord-orientale.

Tante ipotesi, nessuna conferma

Alla base delle polemiche dei giorni scorsi, con molta probabilità la discutibile scelta di alcune autorità governative di non informare tempestivamente, diffondendo la notizia solo settimane dopo aver effettuato le rilevazioni.

In primis la Norvegia, che ha in un secondo tempo giustificato la decisione comunicando che "le misure di radioattività rilevate durante il mese di gennaio, pur essendo al di sopra della media, erano a valori estremamente bassi e non creavano alcuna preoccupazione per l’uomo o per l’Ambiente".

Tra le prime ipotesi sorte, la più gettonata riguardava probabili test nucleari russi nella regione artica; si è parlato molto anche di possibili incidenti a reattori nucleari, prontamente smentita giacché lo stesso isotopo trova largo impiego nell'industria farmaceutica di molti Paesi. Nessuna fonte certa ha potuto chiosare sulla questione che si è così auto-alimentata, dando adito alle immancabili teorie complottiste che trovano linfa nel divulgarsi di tali eventi.

Presenza di Iodio 131

Quel che è certo, la presenza di iodio 131, materiale radioattivo prodotto dall'uomo, ha imperversato nei cieli del vecchio continente. Come se non bastasse, le specifiche di questo radioisotopo hanno contribuito ad addensare l'enigma: lo iodio 131 ha un tempo di dimezzamento di otto giorni (ciò significa che, statisticamente, ogni otto giorni la quantità in atmosfera si riduce della metà), dovrebbe quindi essere stato rilasciato in tempi ravvicinati o, nel caso contrario e considerando valida l'ipotesi di bassa radioattività, non avrebbe più potuto essere riscontrato a fine gennaio.

Un caso analogo era stato registrato nel 2011: in quell’occasione, le emissioni radioattive vennero imputare a un problema tecnico sui filtri dei laboratori dell’Institute of Isotopes di Budapest, in Ungheria, dove ancora oggi si producono isotopi radioattivi per la ricerca e per la medicina nucleare.