Gli investigatori sono risaliti ad un evento importante sull'uccisione di Yara Gambirasio, il giorno della sua scomparsa, il presunto assassino Massimo Bossetti non si recò a lavoro. Inoltre è stato appurato che il suo furgone girava intorno alla palestra frequentata dalla ragazza, proprio in quei minuti del pomeriggio che la tredicenne è stata probabilmente portata via. Questi fatti smentiscono clamorosamente quanto da lui dichiarato sui suoi movimenti, il muratore aveva detto di essere passato davanti al centro sportivo, di ritorno dal cantiere, ma lui in quel cantiere il 26 novembre del 2010 non c'era mai andato.
L'uomo aveva dichiarato con fermezza al Gip Ezia Maccora di essersi recato al cantiere e poi la sera aver fatto ritorno a casa dalla sua famiglia: le affermazioni così precisamente dettagliate, hanno insospettito il giudice al quale è sembrato molto strano il fatto che Bossetti ricordasse precisamente i movimenti di quel giorno a distanza di molto tempo.
Lui aveva risposto: 'Faccio sempre le stesse cose, sono abitudinario'. I riscontri effettuati successivamente però, hanno portato ad avvenimenti non proprio così metodici. Ad avvalorare la tesi degli investigatori, sono le testimonianze dei suoi colleghi di lavoro, i quali hanno testimoniato in maniera concorde, che il muratore quel giorno non si è presentato a lavoro.
Un altro punto importante a sfavore di Bossetti è il telefonino; infatti, alle ore 18.49 quando si perdono definitivamente le tracce di Yara il suo cellulare aggancia la stessa cellula del telefono della tredicenne. Sono piccoli particolari che messi insieme hanno un'importanza enorme ai fini dell'inchiesta, oltre naturalmente alla prova madre del DNA.
Nel frattempo i suoi legali hanno presentato al Tribunale una domanda di scarcerazione per mancanza di indizi, ma è stata respinta da parte del Giudice perché l'istanza non è stata notificata ai genitori di Yara, come previsto dal Codice e quindi è stata dichiarata inevitabilmente inammissibile.