I link e tutto ciò che era reperibile in rete riguardoTiziana Cantone, ragazza morta suicida in seguito alla diffusione sul web di video hard di cui era protagonista, sarebbero dovuti essere rimossi da Facebook a causa dei contenuti illeciti. Il social network avrebbe dovuto farlo automaticamente pur senza un provvedimento dell'autorità amministrativa o giudiziaria. Questo quanto stabilito dal tribunale civile di Napoli Nord che ha dato in parte ragione alla madre Teresa Giglio. La donna si appellava infatti al dovere del social network di rispondere alla richiesta di un utente di eliminazione di determinati contenuti.

Il collegio, presieduto da Marcello Sinisi, ha anche però sostenuto quanto detto dagli avvocati di Facebook Ireland, disponendo che non sussiste alcun obbligo per l'hosting provider di verificare preventivamente ogni informazione caricata sulle diverse pagine.Il principio potrebbe essere rivoluzionario per il nostro Paese, infatti, mentre sull'obbligo generale di controllo da parte di Facebook il giudice sottolinea la chiara dicitura dell’art. 17 del decreto legislativo n. 70/2003, non è possibile dire lo stesso per le richieste di rimozione da parte degli utenti. L’art. 17 del decreto 70 non prevede, infatti, un obbligo generale in tal senso.

Andrea Orefice, avvocato della madre della ragazza, la ritiene una decisione equilibrata in quanto fa spazio al principio secondo il quale un hosting provider dovrebbe eliminare le informazioni illecite, quando un utente segnala la cosa.

Facebook si dichiara pronto ad accettare questa decisione sostenendo infatti che contenuti di questo tipo vadano rimossi non appena se ne entri a conoscenza.

Il mondo del web è stato certamente scosso, disorientato, da questa tragedia, finalmente cosciente di aver fatto parte della distruzione di una persona. Nel frattempo la Procura di Napoli ha lavorato sodo per seguire la pista degli ultimi contatti avuti da Tiziana Cantone. Le quattro persone alle quali la giovane diede i video sono state indagate per diffamazione, rei di aver diffuso i video nel mondo pericolosissimo del web.