Non era mai successo nella storia americana che, all'indomani del giuramento di un presidente, in tanti paesi del mondo, centinaia di migliaia di persone scendessero in piazza a manifestare il proprio dissenso. Questo è quanto accaduto nella giornata di sabato 21 gennaio 2017, all'indomani dell'insediamento di Donald Trump come 45mo presidente degli Stati Uniti d'America.

Washington, New York, Londra, Parigi, Berlino, Roma, Milano, Tokyo, Seoul sono state le principali capitali del mondo dove donne, uomini e bambini hanno sfilato in modo pacifico per dire "no" non solo alle politiche restrittive e liberticide che il nuovo inquilino della Casa Bianca ha preannunciato, ma più in generale contro il modello culturale che questi rappresenta.

Una grande festa planetaria

Circa 2 milioni e mezzo sono stati i manifestanti in varie parti del mondo, di cui solo mezzo milione a Washington, secondo le stime diffuse dagli organizzatori del Women's March. Questa giornata di mobilitazione planetaria è cominciata con la marcia delle donne che, partendo dalla capitale statunitense, ha coinvolto tante altre città americane, per protestare al grido di "i diritti delle donne sono diritti umani". L'iniziativa, partita su Facebook, ha coinvolto vari personaggi dello spettacolo "a stelle e strisce", che in qualche modo hanno fatto da testimonial all'evento.

Dal palco di Washington hanno preso la parola diversi artisti, per ricordare che Trump non li rappresenta: dal regista Michael Moore all'attrice Scarlett Johansson, fino alla cantante Madonna, che ha detto: "È l'inizio della nostra storia: la rivoluzione parte da qui.

Noi non abbiamo paura". Una grande festa planetaria pacifica, alla quale non hanno preso parte solo le donne, ma anche padri e figli, famiglie, mariti e mogli, coppie transgender, per rivendicare il diritto all'aborto, ai matrimoni omosessuali, perché "la diversità rende grande l'America".

L'Europa contro i muri scende in piazza

Nelle città europee, invece, i messaggi si sono basati soprattutto sulla lotta contro il razzismo e la xenofobia, con lo slogan "Non vogliamo muri ma ponti". Una giornata che può essere definita storica poiché, a sentire analisti e commentatori, si è trattato della nascita di un vero movimento politico, che ha sancito la spaccatura tra le "due Americhe": quella rappresentata dai valori del "trumpismo", costituita dai cosiddetti "nativi", e quella del popolo solidale, che crede in un mondo multietnico, dove i diritti siano per tutti.

Un nuovo movimento che, da adesso in poi, renderà la vita difficile al presidente americano. C'è da dire che la diffusione a macchia d'olio di questa protesta a livello globale ci dice che questa spaccatura è in essere in tutto il mondo, diventando la chiave di lettura del nostro tempo.

Stop al razzismo

In Europa, i rigurgiti xenofobi arrivano prevalentemente dai paesi dell'est. È di pochi giorni fa la decisione del premier nazionalista ungherese Viktor Orban di arrestare i rifugiati siriani non ancora regolarizzati. Nel frattempo, un cartello europeo dei partiti anti-immigrati si è già formato tra la Le Pen in Francia, il leghista Salvini in Italia e Farage in Gran Bretagna.

Durante la manifestazione londinese, svoltasi davanti all'ambasciata americana, che ha raccolto disabili, immigrati e comunità gay, lo slogan usato è stato "stop al razzismo".

Sophie Walker, leader del partito britannico per l'uguaglianza delle donne, ha detto ai microfoni di Euronews: "Siamo qui per protestare contro l’odio e la divisione che propone la politica di Trump. Siamo qui contro xenofobia, misoginia e sessismo".