1,092 miliardi di dollari. Tutto ruota intorno a questa cifra nel caso eni - petrolio nigeriano. Si tratta del totale pagato dall’impresa italiana per acquisire i diritti di sfruttamento petrolifero del giacimento Opl245 su suolo nigeriano. Queste vicende hanno portato i pm di Milano Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro ad indagare per corruzione internazionale paolo scaroni e claudio descalzi, rispettivamente ex ed attuale amministratore delegato della controllata italiana.
Tutto inizia nel 2011, quando Eni versa 1,092 miliardi su un conto riconducibile al governo nigeriano vincolato a JP Morgan.
Quei soldi iniziano a disperdersi, viaggiando da una banca all’altra. 523 milioni arrivano a società riconducibili ad un prestanome del presidente nigeriano Goodluck Jonathan. Altri 200 milioni sarebbero stati reclamati da un certo Emeka Obi, un intermediario nigeriano che ha partecipato alle prime fasi dell’accordo, salvo poi essere scavalcato da Eni, che ha successivamente trattato direttamente col governo nigeriano.
366 milioni finiscono invece ad una società dietro cui sembra celarsi Dan Etete, ex ministro del petrolio nigeriano. Etete ha un ruolo fondamentale: mentre era ministro di governo, aveva girato la concessione di Opl245 alla Malabu. Questa è una società di cui non si conoscono i proprietari.
Tuttavia, Etete è indicato come ‘titolare’ della società in un memo relativo ad un incontro fra emissari di Eni e di Malabu, svoltosi a Londra, a cui Etete stesso presenziò.
Questi dettagli provengono da un rapporto stilato dall’avvocato Pepper Hamilton, di uno studio legale americano, incaricato direttamente dal collegio sindacale di Eni di svolgere un’indagine interna sui fatti africani.
La responsabilità di Eni sta tutta nel fatto che questa sapeva dove andavano a finire quei mille e passa miliardi al momento dell’accordo finale, ovvero alla Malabu. Soldi che, secondo i pm, si sarebbero spartiti, per la maggior parte, il presidente Jonathan ed Etete stesso, non facendo arrivare una briciola al popolo africano.