Il mixing, ovvero un processo di integrazione tra magmi, che avviene nella profondità di molti vulcani, tra cui i Campi Flegrei, potrebbe fornire un valido strumento di monitoraggio e segnali premonitori di un'imminente eruzione.

Signature of magmatic processes in strainmeter records (Verifiche dei processi magmatici con registrazioni “strainmeter”) at Campi Flegrei è il titolo dello studio pubblicato su Geophysical Research Letters, dalla sezione di Pisa dell’Ingv, l’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia.

Non è una ricerca che si unisce al coro di voci allarmistiche, che da tempo si ripetono su questo tema, ma fornisce un importante strumento di osservazione per il supervulcano, la cui pericolosità viene data per scontata.

Lo studio è stato improntato sulla ricerca di uno strumento utile a riconoscere i segnali premonitori di un’imminente eruzione e ritiene di aver identificato gli elementi essenziali su cui operare.

Se, come sembra, i ricercatori hanno raggiunto lo scopo, si tratta di un risultato non da poco, se si considera che l’unica difesa possibile contro l’eruzione dei Campi Flegrei, è la possibilità di poter evacuare velocemente il territorio.

Situazione instabile dei Campi Flegrei

Infatti, nonostante queste prospettive future non si può trascurare la condizione di pericolosa instabilità che vive quell’area da decenni, con piccoli sciami sismici, bradisismo e intensa attività fumarolica nella Solfatara.

L’ormai famoso studio pubblicato su "Nature Communication", dall’Ingv, ha richiamato l’attenzione sulla pressione critica che sta raggiungendo il magma nella sua risalita verso la crosta, e sulle possibili conseguenze, vale a dire una rapida evoluzione dell’attività vulcanica.

Lo studio attuale non interviene su questo argomento ma si concentra sull’attività di interazione tra i magmi, che avviene in profondità.

Infatti, come spiega Chiara Montagna, una delle ricercatici che ha partecipato allo studio, questa interazione, conosciuta come mixing, avviene tra il magma gassoso che sale da una profondità di 10-15 chilometri e quello degli stati superiori più consolidato.

Uno spostamento che causa la deformazione del suolo che, se rilevato opportunamente, potrebbe fornire un fondamentale segnale precursore di eruzione.

Lo sciame sismico del 2006

Ovviamente, queste rilevazioni non si possono ottenere con le metodologie utilizzate finora né, fortunatamente, si possono sperimentare sul campo. Quindi, per osservare con notevole esattezza la deformazione del suolo, sono stati utilizzati degli straimeters, strumenti di elevatissima precisione e sensibilità.

Con i risultati ottenuti sono state effettuate delle complesse simulazioni computerizzate, che hanno permesso di calcolare anche le deformazioni indotte sul terreno e gli effetti derivati.

Chiara Montagna ha aggiunto che, ai fini di questa ricerca, sono stati molto utili anche i dati registrati nel 2006, durante il lungo uno sciame sismico che colpì i Campi Flegrei, con una risalita di magmatica.

Quindi riassumendo, secondo i ricercatore dell’Ingv, monitorando il “mixing” in tempo reale, si potrebbe avere la possibilità di conoscere i movimenti profondi del magma e prevedere, o escludere, il pericolo di evoluzione verso una fase eruttiva.