E’ sconvolgente l’ultimo rapporto dell’Unicef pubblicato oggi dal titolo “Child Alert”, dove vengono analizzati gli abusi, principalmente nei confronti di donne e bambini che scappano da guerre e violenze esplose nei paesi del Corno d’Africa e dell’Africa sub sahariana. Stupri, aggressioni, schiavismo, sono gli elementi quotidiani che fanno parte del viaggio. Gli artefici sono oltre che i trafficanti anche i soldati dei vari eserciti nei checkpoint di confine, oltre alle guardie carcerarie dei centri di detenzione libici. I numeri sugli attraversamenti della rotta danno il senso della tragedia umanitaria che i governi occidentali affrontano con la cultura dei respingimenti, anziché favorire percorsi sicuri, attraverso i corridoi umanitari.

Nel 2016, 256 mila migranti sono stati identificati in libia, di questi 28 mila donne e 23 mila bambini, di cui un terzo non accompagnati. Ma sono solo i dati certificati, nella realtà l’Unicef ritiene che queste cifre debbano essere triplicate.

Viaggio per l'inferno di solo andata

La mappa africana che orienta la rotta migratoria del Mediterraneo Centrale, deve essere scomposta in due grandi aree: i paesi di partenza e di transito. I primi sono quelli che geograficamente definiamo dell’Africa sub sahariana: Nigeria, Costa d’Avorio, Guinea, Senegal, Mali. Gli altri rientrano nel corno d’Africa: Somalia, Etiopia, Eritrea Sudan. Poi c'è l’Egitto nella linea nord del continente africano. I paesi di transito sono invece Chad, Niger e come ultima meta la Libia, da cui salpare per il sud Italia.

Il viaggio comporta l’attraversamento di una zona particolarmente pericolosa: un migliaio di chilometri dove il deserto la fa da protagonista, in quell’area che abbraccia Niger e Libia. In realtà tutto il viaggio è un inferno soprattutto per donne e bambini, che siano accompagnati o soli: 25 mila non accompagnati solo lo scorso anno.

Questo perché il viaggio spesso sin dall’inizio è gestito e organizzato dalle mafie locali, i cosiddetti trafficanti. E’ nei checkpoint di confine, con i paesi di transito, che donne e bambini diventano vera e propria “carne da macello”, poiché sono proprio le autorità locali ad infliggere pene aberranti: violenze sessuali, arresti, estorsioni.

Se ci sono uomini vicino a loro vengono separati e minacciati di non ribellarsi, e questo ad ogni checkpoint. Dai paesi del corno d’Africa le donne spesso partono con iniezioni contraccettive, sapendo quello che le aspetta.

La prigionia in Libia fra trafficanti e tratta

Se durante tutto il viaggio oltre agli abusi, caldo, freddo, fame e malattie impossibili da curare, sono le principali sofferenze che patiscono, una volta arrivati in Libia la situazione peggiora ulteriormente. Lì esiste una costellazione di centri di detenzione ufficiali o meno, in cui solo in una piccola parte le organizzazioni per i diritti umani possono accedere. Ogni milizia appartenente a tribù diverse ha i suoi veri e propri lager, dove una ventina di uomini, donne e bambini vengono tenuti in spazi di due metri quadrati e lì violentati, maltrattati, picchiati, affamati.

In Libia i centri di detenzione sono il punto di sintesi degli affari con i miliziani delle varie fazioni. Qui vengono prelevati per varie destinazioni: tratta, sessuale o per lavoro in regime di schiavitù, a secondo dei bisogni del trafficante di turno, che spesso si scambia i migranti da soggiogare.