“Rada” è l'acronimo di forze speciali di deterrenza, del governo di accordo nazionale libico, il suo portavoce Ahmed Salem, come riporta l'agenzia Ansa, ha rivelato i tre nomi degli uomini che hanno fatto esplodere un'autobomba destinata all'ambasciata italiana a Tripoli, sabato scorso: Milood Mazin e Hamza Abu Ajilah, sono i due rimasti uccisi dentro l'auto, Omer Kabout, è il terzo complice, riuscito a fuggire.

Una dinamica incerta

Salem ha ricostruito la dinamica dell'attentato in una intervista al Libya Observer. Milood Mazin e Hamza Abu Ajilah avrebbero dovuto parcheggiare l'autobomba accanto al muro di protezione dell'ambasciata, mentre Kabout avrebbe dovuto successivamente farli salire nella propria auto.

Sventato l'attentato dalle forze di sicurezza, l'auto esplodeva con i due dentro nei pressi del ministero della pianificazione, mentre il terzo si dava alla fuga. L'obiettivo era politico, a quanto racconta Ahmed Salem, cioè quello di compromettere la sicurezza nella capitale. Ma da parte di chi? Del generale Khalifa Haftar, cioè il capo del governo parallelo, con sede Tobruk, rispetto a quello di al-Sarraj con sede a Tripoli.

Gli attentatori sarebbero tre militari, con compiti spionistici, all'interno dell'Operazione Dignità, che a Tripoli sembra abbia una centrale dove lo stesso Omer Kabout sarebbe il supervisore delle riunioni segrete. Una vicenda che si fa intricata poiché a questo punto della storia entra in scena un consigliere militare italiano dell'Onu in Libia, il generale Paolo Serra, che nel corso di un'audizione al Copasir ha fatto notare che per la sua dinamica l'attentato sembrava fosse in mani poco esperte.

Questo pone dei dubbi sia rispetto agli autori che in relazione all'obiettivo, cioè il ministero della pianificazione e non l'ambasciata italiana...

Una storia che comincia da lontano

In realtà questa storia comincia quando nella Libia post Geddafi esplodono le guerre tribali, il caos regna e avanza l'Isis. Così si formano due gruppi di potere contrapposti.

Il primo ha sede a Tripoli, dove viene formato il “governo di accordo nazionale libico”, il cui premier è appunto al-Serraj, un uomo che garantisce l'occidente e soprattutto gli interessi economici delle potenze in gioco. L'altro, con una connotazione più spiccatamente islamista, ha la sua roccaforte a Tobruk ed il suo capo è il generale Khalifa Haftar, gradito a Putin.

Ambedue dicono di voler combattere il “terrorismo”, identificato con l'Isis, sentendosi i legittimi tenutari del potere nazionale.

I risvolti nascosti

Ma la storia si arricchisce di risvolti, che non riguardano soltanto i continui tentativi di guadagnare la pole position da parte dei governi occidentali per accaparrarsi il petrolio, ma anche del fatto che dalla Libia continua a fuggire la gente da varie parti del corno d'Africa, dove ci sono guerre e dittature. Per cui il ministro Minniti si è premurato a fare un'accordo con al-Sarraj moto simile a quello che fece Berlusconi con Gheddafi.

Da un'altra parte della storia

Ora, da un'altra parte di questa storia, vi sono i lager dove i rifugiati che cercano la fuga, se vi entrano, subiscono le violenze più inaudite, molto più selvagge di quelle che aveva istituito lo stesso Gheddafi.

Se da lì riescono a uscire vivi e prendere un barcone sono salvi, si fa per dire, se invece cadono nelle mani dell'Isis la loro vita si può dire conclusa. In Libia, secondo l’Organizzazione internazionale delle migrazioni si trovano oltre 264mila persone che scappano da guerra e dittature. Ma che relazione c'è tra l'attentato di Tripoli e la fuga dei rifugiati? Nel fatto che questo è un paese non governato poiché le armi e la violenza sono gli unici elementi regolatori. E come in ogni campo di battaglia la verità o le verità vengono dimezzate, depistate, canalizzate... Quello che sembra chiaro è che al-Sarraj non ha il pieno controllo di Tripoli.