Quel che resta di banchi colorati, aromi speziati nel vento e fumi tra pesce e carne che salgono in una bangkok divorata da riflessioni e libertà violate è l’autentico desiderio di poter vivere secondo i ritmi di una cultura millenaria che non è ancora morta. Nonostante il mondo che va avanti e le regole di una dittatura che quasi pare extemporanea in una realtà panoramica e globalizzata a prescindere dalla geografia di certe dimensioni - ma ogni caso ha un’eccezione e una spiegazione, almeno in termini di dividendi d’azione.

Secondo David Thompson, superchef globale a capo del Nahm, ristorante di Bangkok al ventottesimo posto tra i World’s 50 Best Restaurants e quinto in Asia, «Lo street food è l’ultimo baluardo di democrazia che possiamo avere qui a Bangkok».

Tanta enfasi, retorica senza freni, ma terribilmente veritiera. Un’osservazione interessante e un’immagine viva sulle contraddizioni del Regno che a tre anni dall’ancora poco chiacchierato colpo di stato del National Council for Peace and Order del generale Prayuth Chan-o-cha, ancora non si è ripreso dal clima di terrore seguita agli attentati a bassa intensità che hanno lasciato calare un sipario di inquietudine sociale e pessimismo nel futuro - elementi comprensibilissimi dato che l’ultimo attentato è avvenuto solo il 22 maggio nell’ospedale centrale di Bangkok e ha messo in conto 25 feriti e un morto.

Il governo intanto posticipa le elezioni e assiste inerte alle operazioni terroristiche e alle campagne islamiste nel sud del Paese, che vive in un costante stato di allarme e in un crescendo di sfida alla pace e alla quotidianità.

Sembra quasi banale portare l’attenzione sul dibattito relativo allo Street Food e al folklore di carretti e tavolini da strada che colorano e riempiono la Bangkok del buon cibo. Eppure è ormai un affare di Stato da non sottovalutare, una questione culturale che si staglia contro il disordine imposto da un regime non riconosciuto a tutti i livelli.

Solo qualche settimana fa il governatore di Bangkok aveva emesso un decreto che metteva al bando lo Street Food dalla maggior parte delle aree cittadine sulla scia di una serie di decreti atti a ripulire le strade e a rendere più agibili le vie in un’ottica di implemento della pubblica sicurezza - o pubblico controllo.

Nonostante sia chiaro a tutti che in effetti lo Street Food di Bangkok necessiterebbe un maggiore controllo dal punto di vista dell’igiene, il decreto ha dato vita ad un grande no di opposizione popolare, un’intera città fatta di più generazioni ed estrazioni culturali si è sollevata contro l’imposizione di un ban senza precedenti.

Lo Street Food Thai è un equilibrio sociale in una realtà urbana profondamente provata dalle diseguaglianze dove però uno spiedino alla griglia costa 10 baht e un piatto di zuppa con pollo 35: si rischia di immolare drasticamente le risorse e le possibilità di migliaia di venditori e consumatori ai limiti della povertà umanamente accettabile sull’altare di un progetto di militarizzazione sociale e sulla scia di un perbenismo di facciata della nuova Amministrazione che vive esclusivamente dell’approvazione della classe bene e dei suoi desideri di trasformazione. Ma Bangkok non è Singapore.

E se alcuni vivono questa imposizione come una falsità d’estrazione, altri la vivono come una vera e propria offesa al sentimento di kwampenthai, la thailandesità di un popolo che ora si chiede i fondamenti di una politica che era partita da un esclusivo sentimento nazionalistico e i motivi reali dietro la resa alla globalizzazione occidentale.

La stessa globalizzazione che ironicamente ha portato lo Street Food Thai nelle grandi città europee e americane.

‘Lo street food appartiene appartiene alla cultura Thai’ questo è lo slogan di Chawadee Nulkair, il cui blog Bangkokglutton è un punto di riferimento per gli espatriati e gli esuli e identifica con questa nuova politica proibizionista un punto di non ritorno e un danno drastico al turismo, soprattutto dopo che la CNN ha messo sul primo gradino del podio lo street food di Bangkok - senza contare che sui principali social di viaggi le bancarelle food sono il principale elemento di attrazione della capitale.

La risposta delle Autorità cittadine non si è fatta attendere, il bando resta ma per verrà ritardato nelle zone a più alta densità turistica come Khao San Road e Yaowarat, in piena Chinatown.

Sembra dunque che almeno per i prossimi mesi i viaggiatori gourmet potranno continuare a soddisfare i propri sensi davanti i banchetti esotici di uno street food che li porta a sognare e desiderare tutte quelle colorate ricette presentate da David Thompson nel “Thai Street Food”. Ma per quanto ancora?

E poi ci sono loro, tutti gli altri venditori e ambulanti delle zone non turistiche. Migliaia di Street Foodie trasferiti e indirizzati in un luogo dove ironicamente il cibo da strada Thai tornerà ad assumere quel che Philip Cornwell-Smith riassume così: ‘un food di spazi marginali per persone marginali’.