La Procura di Milano ha richiesto l’archiviazione per Marco Cappato, indagato per aver aiutato dj Fabo a morire. "Chiunque determina altri al suicidio o rafforza l'altrui proposito di suicidio, ovvero ne agevola in qualsiasi modo l'esecuzione, è punito, se il suicidio avviene, con la reclusione da cinque a dodici anni". Così il codice penale, all’articolo 580, definisce il delitto d’istigazione o aiuto al suicidio. Il fascicolo per le indagini preliminari contro Marco Cappato è stato aperto dopo la sua autodenuncia. Al rientro dalla Svizzera, dopo aver accompagnato Dj Fabo a porre fine alle proprie sofferenze, il politico milanese si è recato dai Carabinieri per fare chiarezza sull’accaduto, e per sollecitare il dibattito pubblico sulla necessità di una legge italiana pro-eutanasia.
L’esponente radicale, nonché membro attivo dell’Associazione Luca Coscioni, da anni si batte per il riconoscimento del diritto a morire, considerandolo una conseguenza diretta dell’autodeterminazione, quindi parte integrante e inviolabile del diritto all’esercizio della libertà individuale.
Le ragioni a sostegno dell'archiviazione
I pubblici ministeri Tiziana Siciliano e Sara Arduini hanno avanzato la richiesta al gip per l’archiviazione. La motivazione è basata sul principio della mancata manipolazione, che fa cadere l’accusa d’istigazione al suicidio. Al contempo, essa evidenzia come l’aiuto offerto da Cappato ad Antoniani si collochi nell’ambito di un agire consapevole del richiedente e di una condotta lecita - quindi legittima - dell’indagato, poiché ispirata da "pietas".
I pm, in sintesi, sostengono che "le pratiche di suicidio assistito non costituiscono una violazione del diritto alla vita quando siano connesse a situazioni oggettivamente valutabili di malattia terminale o gravida di sofferenze o ritenuta intollerabile o indegna dal malato stesso". La decisione finale spetta al gip e, indubbiamente, oltre a fare giurisprudenza farà sicuramente notizia.
Nel frattempo, Cappato ha dichiarato di voler continuare la sua battaglia per il riconoscimento dell’eutanasia.
Un punto di vista autorevole
Il professor Umberto Veronesi, su questo tema, si era espresso così: "il principio assoluto di non disponibilità della propria vita da parte degli esseri umani è, secondo me, un principio crudele che sequestra la libertà individuale".
Il celebre oncologo aggiunse anche che: "l’eutanasia non può che essere il diritto di morire, il quale, come tutti i diritti della persona, fa capo unicamente al soggetto […] è questo diritto che voglio difendere, il diritto cioè di ogni uomo all’autodeterminazione: il diritto alla libertà".