Dopo il jet siriano abbattuto da un caccia statunitense a sud di Raqqa, un altro velivolo delle forze armate di Bashar al-Assad segue la medesima sorte. Si tratta di un drone di fabbricazione iraniana, modello Shahed 129. Individuato dai caccia statunitensi, è stato colpito ed abbattuto vicino ad At Tanf, praticamente al confine tra Siria e Giordania. La notizia è stata diffusa dalla Cnn, citando alcune fonti militari che avrebbero riferito l'azione, motivandola come "eliminazione di una possibile minaccia".
La preoccupazione di Mosca
Qualche ora prima, l'agenzia di stampa Tass aveva riportato le parole di Dmitri Peskov, portavoce del presidente russo Vladimir Putin.
"Ciò che sta accadendo in Siria, per noi, è fonte di serie preoccupazioni a causa delle azioni della coalizione a guida USA". Ai giornalisti che gli hanno chiesto espressamente se la situazione in Siria può portare ad un conflitto aperto con gli Stati Uniti, Peskov ha preferito non rispondere. "Non farò alcun commento su questo argomento". Intanto proseguono le operazioni militari su entrambi i fronti, quello della coalizione curdo-arabo sunnita, e quello dell'esercito regolare siriano, nella marcia di avvicinamento verso Raqqa. Da Damasco, però, sono state lanciate nuove e pesanti accuse nei confronti di Washington. L'agenzia SANA, principale organo di comunicazione del governo di Bashar al-Assad, ha diffuso la notizia relativa ad un bombardamento della coalizione internazionale a sud-est della provincia di al-Hasaka, nel corso del quale sarebbero morti 12 civili.
In riferimento all'abbattimento del jet nella zona di Raqqa, Damasco ribadisce che "è stato abbattuto mentre bombardava le postazioni dello Stato Islamico" ed accusa gli Stati Uniti di "condurre una guerra in coordinamento con l'Isis". Dopo l'episodio, oltretutto, si sono registrate le prime reazioni negative da parte della coalizione internazionale.
L'aviazione australiana che partecipa con un proprio contigente ai raid, ha sospeso la propria attività bellica. La comunicazione è arrivata direttamente dal ministero della Difesa di Canberra, motivando la decisione "a titolo precauzionale".