Per "caporalato" si intende generalmente un sistema di reclutamento della manodopera attuato nel meridione ad opera dei caporali, militari che comandano una squadra. Sì, peccato che la squadra in questione non sia più formata da braccianti temporanei impiegati nei lavori agricoli, comunque sfruttati, ma da dipendenti "assunti" senza alcuna garanzia, diritti o giorni di riposo. Nel Ragusano, da quanto emerso dagli inquirenti, la manodopera clandestina lavorava 13 ore al giorno per soli 25 euro ed in condizioni igieniche disumane.
Operazione Freedom e altre realtà
Per scongiurare questo fenomeno, illecito e per questo criminale, la Polizia di Stato nelle squadre mobili di Latina, Foggia, Caserta, Ragusa, Reggio Calabria e Potenza, coordinate con l'Anticrimine, il 5 luglio scorso avevano concluso l'operazione "Freedom" controllando 26 aziende e identificando 235 persone tra dipendenti e datori di lavoro. Operazioni come queste hanno l’obiettivo naturalmente auspicato di contrastare lo sfruttamento che può sfociare in maltrattamenti e riduzione in schiavitù, con attenzione anche all'inosservanza delle norme contributivo-previdenziali e alla sicurezza sui luoghi di lavoro.
E’ solo l’ultimo di tanti interventi compiuti della forze dell’ordine contro questo fenomeno che non riguarda più solo il Mezzogiorno, come l’etimologia ci suggeriva, ma che ha abbattuto da tempo le barriere geografiche: così, anche dal Progetto Presidio della Caritas sappiamo che il Piemonte non è dissimile dalla Puglia in fatto di sfruttamento lavorativo, soprattutto quello agricolo, diffuso anche nell’edilizia sulle grandi città.
Era del gennaio scorso il servizio del Tg3 sull’illegalità diffusa della gestione della manodopera in Emilia Romagna, false cooperative nascondevano i traffici illeciti della malavita organizzata. Il sevizio di Luca Ponzi parlava chiaro: per gli immigrati irregolati “il ricatto è doppio: niente busta paga, niente permesso di soggiorno”.
O il racconto dell’espandersi del caporalato in almeno otto regioni italiane, nel servizio di un anno fa da parte di Tv2000, dove si sosteneva che “il 60% dei lavoratori non ha accesso a servizi igienici e acqua corrente”, che il cibo e i trasporti non sono inclusi nella paga giornaliera ma che corrispondono a un surplus da pagare al caporale.
E se la schiavitù non bastasse a porre l’accento su una questione già visibilmente importante, c’è anche da sottolineare i danni che questo sistema malavitoso portano allo Stato, la stima dell’anno scorso vedeva un’evasione erariale pari a 600 mln di euro, facile che oggi sia aumentata.
Le principali nazionalità dei braccianti sono di stati dell'area dall’Africa Sub-Sahariana e dall’Africa del Nord, si tratta per intenderci tutti quei migranti che sopravvivono alla traversata in mare sul gommone e poi spesso muoiono di fatica nei campi. Che i lavoratori stranieri non abbiano diritti, è presto detto, filosofia ormai condivisa dalle più alte cosche malavitose nelle quali il problema però non sono i diritti ma i doveri che questi braccianti, privati di personalità, debbano avere nei loro confronti.
Per i temi importanti bisogna schierarsi
Che i braccianti appunto non siano considerati più persone ce lo dice anche il disegno di legge contro il caporalato, voluto dal Ministro alle Politiche Agricole Martina e approvato nell’agosto del 2016 . In sostanza il ddl apportava modifiche all’art. 603-bis del codice penale inasprendo le pene per gli sfruttatori con un massimo di 6 anni di reclusione e una multa fino a 1000 euro per ciascun lavoratore reclutato illecitamente per chiunque utilizzi lo sfruttamento come metodo impiegatizio, sanzione che aumenta a 8 anni di reclusione e una multa fino a 2000 euro se oltre all’intimidazione si aggiunge la violenza. L’articolo inoltre prevedeva che si macchiasse di tale reato chiunque andasse volontariamente contro le vigenti normative sul lavoro (orario, riposo, aspettativa, ferie, retribuzione, sicurezza, igiene, etc.).
Altresì con l’aggiunta dell’articolo 603-bis.1 si faceva riferimento alle attenuanti, per chi nella corrispondenza dei reati si offriva in aiuto alle autorità competenti in modo da non generare un continuum dell’attività criminosa.
Importante però è stata anche l'introduzione dell'indennizzo per le vittime che furono per la prima volta inserite nel programma contro il traffico di esseri umani istituito dal Dipartimento per le Pari Opportunità (sempre attivo il numero verde multilingue: 800 290 290), in quanto vi furono riconosciute caratteristiche simili di sfruttamento. La coordinatrice anti-tratta della Commissione Europea, dal 2011 Myria Vassiliadou, è impegnata assiduamente nel disfacimento di questo fenomeno criminale, attraverso politiche di cooperazione con gli altri Stati membri volti alla tutela degli interessi e dei diritti umani nell'ambito di una più ampia realtà internazionale.