Ci sono luoghi, città, posti nel mondo in cui il culto dell'Arte e del bello è più radicato e maggiormente sentito dagli uomini, dei quali entra a far parte per naturale propensione. Allo stesso modo coesistono realtà che paion essere state dimenticate dagli stessi uomini che le costruirono ( come i centri storici delle città e ancor di più dei paesi), gettate in un abbandono che si traduce in un inevitabile, latente imbruttimento.
Ma se è vero che "dal letame nascono i fior" come cantava De Andrè, forse un barlume di speranza ci è concesso accenderlo.
Una conferma a quanto cantato dal celebre cantautore parrebbe provenire dalle molteplici iniziative di gruppi di giovani in tutta Italia, le quali si sostanziano proprio del vecchio, dell'abbandonato, del trascurato per avviare programmi di rigenerazione urbana al fine di risanare e ridare vita ai quartieri gettati nell'oblio, tramutandoli in terreno fertile allo sbocciar dell'arte; una missione unanime che professa la religione del bello, tutta protesa ad attivare il processo di rieducazione al esso che in certi posti pare essere stato assopito.
Iniziative di tal genere stanno avendo enorme fortuna anche in vari paesi della Sicilia, quasi ad imporsi come ribellione eroica, reazione incurante al lavoro di burocrazie miopi che per tanto, troppo tempo hanno amministrato l'isola rendendola terra maledetta, di dimenticanza e non garantendole il giusto merito.
È questa l'ottica entro cui s'inserisce Farm Cultural Park, la quale sta destando molta curiosità e producendo altrettanto rumore in queste ultime settimane, ponendo l'accento sul dibattuto binomio cultura-potere.
Ma facciamo un passo indietro.
Un po' di storia
Fondata il 25 giugno 2010 dal notaio Andrea Bartoli è da sua moglie, l'avvocato Florinda Saieva, Farm Cultural Park sorge a Favara all'interno del cortile Bentivegna, un aggregato a sua volta costituito da sette piccoli cortili che ospitano palazzi di matrice araba, situato nel centro storico del paese siciliano.
Sulla carta d'identità, Farm si presenta come centro culturale e turistico, galleria d'arte dove vengono allestite mostre pittoriche e fotografiche temporanee ed istallazioni permanenti d'arte contemporanea, nonché residenza per artisti. Terminato il flashback sulle origini della fabbrica d'arte favarese, torniamo a noi e al trambusto mediatico scatenatosi questa estate circa il caso Farm.
Il braccio di ferro Farm-burocrazia ha inizio ufficialmente in luglio, precisamente il 29 del mese con la pubblicazione da parte del notaio Bartoli di un post sulla pagina Facebook della Farm, con il quale informava la cittadinanza su quanto stava accadendo, ovvero l'emissione di un'ordinanza del Comune di Favara per la rimessa in pristino dello stato dei luoghi in seguito ad una presunta rilevazione di due occupazioni abusive di suolo pubblico, rappresentate da due strutture leggere e assolutamente rimovibili, denominate "Equilatera" e "Butterfly Home", strutture non ancora autorizzate da chi, di dovere, avrebbe invece dovuto, come chiarisce lo stesso Bartoli nel post apologetico.
Il tutto parrebbe essere precipitato a picco in seguito alla denuncia sporta da un cittadino residente a Favara solo nei mesi estivi e abitante presso i cortili che costituiscono la Farm, il quale, a sua detta, avrebbe incontrato difficoltà ad uscire in automobile dal luogo. Questione di giorni e tra riunioni, assemblee e petizioni via web, le due strutture vengono poste sotto sequestro e intanto, la resistenza di Farm è sempre più supportata.
L'educazione al bello coma arma vincente
È un supporto autentico, che trova le proprie radici in quel culto e amore del bello di cui abbiamo precedentemente parlato. D'altronde Farm Cultural Park è davvero un gran dispensatore di cultura, arte,educazione ed informazione.
Facendo un giro tra i cortili si ha l'impressione di respirare un'atmosfera puramente siciliana, grazie alla tipica conformazione delle vie che scandiscono i cortili, quasi a ricordare le Medine arabe, abbellite poi da murales con frasi e proverbi in dialetto siculo, il tutto e poi travolto da un flebile vento dal profumo internazionale, capace di far percepire il contatto con più luoghi del mondo. Nei vari stabilimenti e palazzi vengono allestire mostre fotografiche che richiamano a realtà lontane ma estremamente vicine, come ad esempio quella tutta tesa ad indagare il concetto d "co-dividualità", già sperimentato nell'architettura giapponese e che ben si adatta alle esigenze della società occidentale odierna che acclama a gran voce l'urgenza di relazioni concrete ed autentiche fra gli individui, inesorabilmente perduti in un mondo dominato dal social e abituato ad osannare il Dio individualismo.
O ancora, la mostra curata dalla fotografa italiana Zoe Vincenti, intitolata "Rebels of love", che racconta per immagini, quindi in maniera più efficace e diretta, la tragedia dei "martiri d'amore" in India, inducendo a riflettere su un ideale di amore libero per noi scontato, ma non per molti ragazzi di altri paesi in cui è ancora lecito, sensato morire per amore. Un'incantevole fabbrica di sensibilizzazione al diversi, al nuovo, al mondo, naturalmente ostacolata nel suo sviluppo da chi dovrebbe favorirne la crescita, come tutte le cose belle.
Negli ultimo giorno però, pare intravedersi l'alba d'una svolta. Forse anche grazie all'intervento del presidente della Regione, Crocetta, che in un'intervista rilasciata durante una visita al centro ha esplicitamente espresso il proprio sostegno per la questione Farm, impegnandosi ad inserirla nel registro dei beni immateriali della Sicilia, martedì 15 agosto, Farm Cultural Park posa le armi ponendo fine alla resistenza; le strutture poste sotto sequestro vengono restituite.
Una bella favola come la Farm meritava un lieto fine.
Ha vinto l'arte, ancora una volta.