"Non sono stata io, ma i miei sospetti non li dico. La morfina era a disposizionedi tutti". Rinchiusa dallo scorso mercoledì nel carcere di Montorio (Verona) con le accuse di lesione aggravata e cessione di sostanza stupefacente, Federica Vecchini si difende. Ha sospetti su colleghi, ma non li dice perché avrebbe ricevuto minacce in carcere e su Facebook. L'infermiera del policlinico di Borgo Roma a Verona, avrebbe somministrato a un neonato ricoverato in terapia intensiva nella notte tra il 19 e il 20 marzo scorsi, una dose di morfina senza prescrizione medica solo per calmarlo, mandandolo in overdose e provocandogli una crisi respiratoria.

Ieri, nel corso dell'interrogatorio di garanzia che si è svolto in carcere, è stata ascoltata per otto ore dal gip Livia Magri che nei prossimi giorni dovrà decidere se concederle gli arresti domiciliari.

'Non capite, io l'ho salvato'

"Sono innocente, io l'ho salvato": dal carcere nega ogni addebito e si difende Federica Vecchini. Il neonato era "rognoso", secondo le parole riferite da una collega, e così Federica Vecchini, 43 anni, da 20 in servizio all'azienda ospedaliera di Verona, madre di tre figli, gli avrebbe dato della morfina per "zittirlo" (qualche goccia nel ciuccio, stando alle ipotesi degli inquirenti). Ma un blocco cardiocircolatorio inaspettato, avrebbe creato un problema ben peggiore: il rischio che morisse.

Da lì la somministrazione del Naloxone, potente farmaco inibitore degli oppiacei che ha salvato il piccolo. "Ho pensato a quel farmaco, perché ho subito riconosciuto i sintomi, ho fatto solo il mio lavoro", ha detto. Il suo legale, Massimo Martini, ha riferito che la donna ha risposto a tutte le domande in maniera serrata, ragionata e con perizia.

Si è avvalsa della facoltà di non rispondere solo in merito a presunti sospetti su colleghi che avrebbero messo la morfina nel ciuccio del neonato. L'infermiera ha rimarcato che fa questo lavoro da vent'anni, ha grande esperienza, e sa riconoscere una crisi da overdose. Su di lei però ci sono pesanti accuse: sarebbe stata vista con in braccio il piccolo che le era stato affidato per qualche momento da una collega.

E da quel momento, sarebbe spuntato il ciuccio incriminato. Il piccolo, pur essendo nato prematuro, era stato bene fino alla crisi, tant'è doveva essere dimesso il giorno seguente. Ma il legale sostiene che il bambino non era in gestione all'infermiera al momento della "crisi".

Tanti punti ancora da chiarire

Restano punti oscuri da chiarire: se è vero che solo lei quella notte avrebbe "movimentato" farmaci oppiacei e che solo lei poteva comprendere quel che stava accadendo in reparto dando pronta indicazione per salvare il bambino, perché lei aveva causato la crisi respiratoria dandogli qualche goccia di morfina, come sostiene l'indagine interna. Resta pure da capire se l'uso di droghe per calmare i bambini fosse già stato fatto in precedenza in quel reparto.

Obiezioni della difesa sull'indagine interna

Federica Vecchini, conosciuta per essere una delle più brave in quel reparto, era molto stimata, come raccontato anche dal primario di pediatria Paolo Biban. Ad aggravare la situazione dell'infermiera è la testimonianza di una collega secondo la quale sarebbe stata una "metodica" usata anche in altre occasioni per far stare calmi i bambini. "A volte uso la morfina o la benzodiazepina, per farli stare tranquilli", le avrebbe confidato l'infermiera. Per il legale, all'infermiera è stato "suggerito" di assumersi responsabilità colposa sulla vicenda, ovvero è stato chiesto di dire di aver commesso un errore.