Il Consiglio Superiore della Magistratura gli aveva chiesto di trasferirsi in via cautelativa dalla Procura di Palermo alla direzione nazionale antimafia con sede a Roma. Ma il Pm nino di matteo, sostituto procuratore di Palermo e curatore dei più importanti casi di Mafia odierni, ha dato picche. La ragione ufficiale sarebbe essenzialmente simbolica. A detta del magistrato, lasciare ora la Procura palermitana per ragioni di sicurezza darebbe un segnale di resa e disfattismo nei confronti della lotta alla Mafia, quella vera, non quella dei telefilm. Ma in molti vedono questa scelta squisitamente politica, nel senso più genuino del termine.
Infatti il pm, da sempre sotto scorta da quando indaga le vicende attorno all'omicidio dei due magistrati simbolo della lotta antimafia, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, riterrebbe, secondo una interpretazione difficilmente tacciabile di non essere plausibile, che un suo spostamento dalla sede palermitana addirittura avvantaggerebbe tutti coloro che sono implicati nella cosiddetta vicenda della "Trattativa Stato-Mafia", cioè quella serie di richieste, accertate in sede giudiziale, da parte della Mafia negli anni '90 allo Stato Italiano per mettere fine alle stragi che hanno appunto portato alla morte di Falcone e Borsellino.
Intendiamoci, il Di Matteo non è legato in maniera indissolubile alla Procura di Palermo, anzi, il suo proposito, enunciato in questi anni, sarebbe quello di trasferirsi alla Procura Nazionale Antimafia, un luogo in cui potrebbe avere maggiori poteri e possibilità nel contrasto al fenomeno mafioso, specie da quando la linea della palma, come diceva Sciascia, sta salendo sempre di più. Ma dopo due domande di accesso alla suddetta procura, ambedue bloccate dallo stesso Csm che gli propone un ruolo più marginale (e meno operativo) come la Direzione Nazionale Antimafia.
A detta di chi scrive, è abbastanza evidente l'intento dissuasivo e per certi aspetti isolante da parte dell'alta magistratura nei confronti di quest' ultimo paladino dell'antimafia, vista la continua e poco corroborante distanza che la politica italiana, tranne poche eccezioni, e parte di quei Boiardi della giustizia che non danno un ruolo di primo piano, e soprattutto di grande efficacia operativa, a colui che dal 1993 vive una condizione di limitata mobilità personale ed è stato per giunta osteggiato dall'ex Presidente, ora Emerito, Napolitano.