Condannato a scontare 20 anni di prigionia, Slobodan Praljak, di 72 anni, ex comandante delle milizie croato-bosniache accusato di aver commesso crimini di guerra nella ex Jugoslavia, si è suicidato ingoiando del veleno appena pochi istanti in seguito alla lettura del verdetto del Tribunale Penale Internazionale, che ha confermato la condanna emessa già nel 2013. L’uomo, infatti, si era presentato dinanzi alla Corte dell’Aja per il processo di appello.

Le accuse

Nato in Bosnia-Herzegovina in una zona a maggioranza croata, in seguito al dissolvimento della Repubblica Federale di Jugoslavia, nel 1991, Praljak si arruolò nell’esercito della Croazia indipendente.

Da quel momento svolse un ruolo cruciale per l’evoluzione dei fatti ed è proprio per questo motivo che, nell’ambito del processo, i giudici si sono concentrati in particolar modo proprio sulla sua figura. Per un periodo Praljak ha svolto la funzione di intermediario tra il governo croato e quello della Bosnia-Herzegovina. Infatti, ufficiale del Ministero della Difesa del primo, ha parallelamente ricoperto anche il ruolo di comandante dell’esercito del secondo, creando un collegamento tra i due. In seguito, secondo quanto deciso dai giudici, si sarebbe reso responsabile di numerosi crimini. Innanzitutto, nel 1993, pur essendo a conoscenza del fatto che alcuni dei suoi uomini avessero catturato dei bosniaci musulmani nella città di Prozor e che avessero intenzione di ucciderli, Praljak non fece nulla di concreto per impedire che compiessero omicidi, stupri, deportazioni.

Inoltre, l’ex comandante è considerato responsabile del bombardamento della città di Mostar e della distruzione del suo Ponte vecchio, lo Stari Most, storico simbolo della convivenza tra culture del posto. Bombardato l’8 novembre 1993, il ponte crollò il giorno seguente, arrecando un danno senza precedenti alla popolazione civile musulmana di Mostar.

Il suicidio e l'interruzione del processo

Dopo la lettura della sentenza, Praljak, autoproclamando la propria innocenza e sostenendo con fermezza di non essere un criminale di guerra, ha ingerito il contenuto di una piccola bottiglia che stringeva tra le mani e ha rivelato di aver bevuto del veleno. Il giudice, Carmel Agius, ha immediatamente sospeso l’udienza e ha ordinato di chiamare un’ambulanza.

L’uomo è morto poco dopo, in un ospedale dell’Aja. Oltre all’ex comandante delle milizie croate-bosniache, ad attendere il giudizio della Corte c’erano anche altri cinque imputati, tra leader politici e militari degli anni Novanta: Valentin Coric, Jadranko Prlic, Milivoj Petkovic, Berislav Pušic e Bruno Stojic. Prima dell’interruzione del processo, la Corte si era espressa solo sulle sorti di Jadranko Prlic, allora primo ministro dell'autoproclamata Repubblica Croata di Bosnia-Herzegovina, condannato a 25 anni di carcere, e di Berislav Pušic, responsabile dei campi di prigionia della milizia croato-bosniaca, l’Hvo, condannato a 10 anni di carcere.

La condanna di Ratko Mladic

Solo una settimana fa il Tribunale Penale Internazionale aveva condannato all’ergastolo Ratko Mladic, il generale serbo accusato di essere il responsabile del massacro avvenuto nella città di Srebrenica, in cui i serbo-bosniaci uccisero circa 8mila musulmani.

Si è trattato del più importante processo per crimini di guerra che sia mai avvenuto in Europa dai tempi di Norimberga, secondo solo al processo al presidente serbo Slobodan Milosevic. Questi ultimi mesi, prima della scadenza del mandato, vedono il Tribunale impegnato nella chiusura degli ultimi processi ancora aperti.