"Non mi importa nulla dei bambini che si sentono male e che si ammalano in quella scuola. Che muoiano pure." sono queste le parole che un uomo, durante una intercettazione telefonica, rivolgeva alla persona che si trovava dall'altra parte della cornetta e che, invece di indignarsi, contribuiva ad alimentare quella discussione con risate ed uno scambio continuo di battute. Parole veramente aspre e disgustose che hanno lasciato senza parole i militari che li ascoltavano durante una delle tante intercettazioni. Sono quelle stesse parole che, oltre ad indignare migliaia di persone, verranno utilizzate come prova inconfutabile dalla Direzione Investigativa Antimafia (DIA) contro i sei uomini accusati di favoreggiamento mafioso e smaltimento abusivo di rifiuti tossici nei pressi di una struttura scolastica nel livornese.
Solo sei, al momento, gli uomini condotti in carcere dai carabinieri ed oltre una trentina le persone indagate, tra le quali imprenditori e proprietari di grosse aziende che riuscivano a smaltire illegalmente i rifiuti speciali e tossici come se fossero comunissimi rifiuti urbani. Raggiri di codici, mancata osservanza delle regolamentazioni e controlli poco approfonditi avrebbero permesso a determinate "menti" di gettare sostanze altamente tossiche in una semplice discarica nelle vicinanze di una scuola pubblica frequentata maggiormente da bambini.
Una metodologia non lontana da quella usata nella terra dei fuochi
Così il pubblico ministero, Squillace Greco, avrebbe definito la metodologia utilizzata dagli imprenditori (e non solo) per riuscire a smaltire in maniera prettamente illegale quei rifiuti tossici.
Alessandro Bertini, Emiliano Lonzi, Marco Palandri, Stefano Fulceri, Stefano Lena e Anna Mancini sono gli imprenditori che, oltre ad esser finiti sull'elenco degli indagati, sono stati costretti agli arresti domiciliari. La Rari srl e la Lonzi Metalli srl sarebbero invece le due aziende addette al recupero ed al trattamento dei rifiuti che sono state poste sotto sequestro; le due principali aziende che poi trasportavano i rifiuti nelle discariche di Rimateria di Piombino e Rea di Rosignano.
Una rete di "traffico" che fruttava alle aziende un bottino di circa ventisei milioni di euro ai danni del fisco e, soprattutto, a discapito della salute di quei bambini costretti a frequentare una scuola situata inconsciamente nelle vicinanze di quella discarica abusiva di rifiuti tossici.