«Domani, domani tutto finirà!» così si conclude “Il giocatore”, celebre romanzo di Fëdor Dostoevskij. Aleksej Ivànovic rimanda al futuro la sua guarigione, lasciando al lettore un retrogusto amaro. Perché è quel "domani" che crea sconforto, è quel "domani" che rende evidente quanto sia difficile dire basta a una dipendenza o almeno provare a farlo. Aleksej Ivànovic, come avrà capito anche chi non avesse letto il libro, è un giocatore d’azzardo o, meglio, lo diventa nel corso del romanzo. Ma chi è davvero questa figura? È possibile prevedere quali siano i soggetti più inclini a sviluppare questa patologia?

La ricerca portata avanti a Catanzaro

I sintomi della patologia sono più che conosciuti, come l'assorbimento nel gioco, che è il più classico, e la totale devozione al rischio. La domanda che si sono posti, invece, i ricercatori dell'Istituto di Bioimmagini e Fisiologia Molecolare del CNR è se è possibile individuare un profilo a rischio per questa che, a tutti gli effetti, è una vera e propria malattia.

Per rispondervi sono ricorsi all’uso dell’intelligenza artificiale. Il disegno di ricerca prendeva in esame sia persone del tutto sconosciute al mondo delle slot machine, sia individui dipendenti da queste. i dati di ciascun individuo venivano, poi, analizzati dal calcolatore. I risultati hanno permesso di trovare le caratteristiche che contraddistinguono il più delle volte il giocatore patologico tipo, riconfermando tratti già noti come la depressione e l’impulsività.

Lineamenti delle persone a rischio

Chiusura mentale, senso di responsabilità limitato, sfiducia verso le altre persone, aspirazione a sensazioni felici, depressione e forte assoggettamento all’impulsività. Sono questi i lineamenti trovati dal calcolatore.

Vero è, tuttavia, che non basta possedere una serie di caratteristiche per sviluppare una patologia.

Le dipendenze, infatti, oltre a coinvolgere i tratti intrinseci di un individuo, dipendono dall’ambiente, dalla cultura, dalla genetica, dalle situazioni in cui la persona può ritrovarsi. Ma già avere un quadro, più o meno chiaro e preciso, di chi potrebbe soffrirne può contribuire alla prevenzione, può impedire che una situazione si aggravi sempre di più.

Perché, superato un certo limite, tornare indietro e disintossicarsi diventa ancora più ostico.

Chi è, però, il giocatore d’azzardo?

La gravità di questa patologia sta nel totale stato di irrazionalità in cui cade il giocatore. Schiavo del gioco, si dice. E non c’è niente di più vero. Tutto il resto perde valore o è visto come possibile minaccia. Il gioco diventa un’ossessione. Anche se non è seduto davanti ad una slot machine o dentro a un casinò, l’individuo non smetterà di pensarci. Tutta la sua concentrazione è volta a creare strategie, a rivivere situazioni di gioco, a cercare qualsiasi mezzo per ottenere denaro. Il giocatore d’azzardo patologico è un vero e proprio drogato e come tale fa della bugia un’arma per nascondere la sua dipendenza o per sfuggire ai famigliari.

La famiglia, le amicizie e le relazioni assumono un’immagine distorta e vengono vissute e viste solo come mero strumento per trovare soldi da puntare. Quando questi vengono negati, scatta l’irritabilità. Quel che si scommette e si perde, quindi, va oltre il denaro.

Per concludere, allora, non si può che citare nuovamente Dostoevskij: «E soltanto in quel momento, per tutta la serata e per tutta la durata del gioco, ho sentito un brivido di terrore corrermi per la schiena, mentre mi prendeva un tremito alle mani e ai piedi. In un attimo mi sono reso conto con terrore cosa significava per me perdere: insieme a quell'oro puntavo tutta la mia vita!».