È di sabato il primo caso in Italia dall’approvazione del biotestamento in cui un individuo decide autonomamente di interrompere i trattamenti medici che lo tengono in vita.

Patrizia Cocco, 49enne di Nuoro, dopo una lotta durata 5 anni contro il mostro della Sla che l’aveva persino privata della facoltà di respirare in modo autonomo, ha deciso di autodeterminare la propria esistenza ponendo fine al dolore. Grazie alla nuova legge sul biotestamento, entrata in vigore lo scorso 31 gennaio, ha confermato per 4 volte la sua volontà dinanzi ad un’equipe di medici in aggiunta a due testimoni, decidendo di interrompere la ventilazione meccanica.

La donna si è avvalsa della facoltà di scegliere le proprie sorti senza rovolgersi al giudice tutelare, come previsto dalle disposizioni precedenti, e dunque i medici hanno potuto soddisfare le sue richieste che, come testimoniato dall’avvocato e da un parente della donna, sono state lucide e perentorie. Ricevuto l’assenso della paziente, il team di medici ha interrotto la ventilazione meccanica e iniziato la sedazione palliativa profonda accompagnando al capolinea la donna spentasi col sorriso e stringendo la mano dei suoi cari.

Legge sul testamento biologico

La nuova legge sul testamento biologico è entrata in vigore lo scorso 31 gennaio a seguito dell’approvazione al Senato avvenuta il 14 dicembre.

La legge prevede la possibilità di scegliere quali trattamenti sanitari ricevere in caso di malattie di una certa entità, lasciando spazio alla libera volontà del paziente di rinunciare ad alcune terapie mediche.

Mediante le DAT, dichiarazioni anticipate di trattamento, si può decidere preventivamente di redigere un documento in cui si manifestano le proprie volontà a proposito dell’ipotesi futura e astratta di ritrovarsi in condizioni di salute gravate da malattie o infermità che inficerebbero un pieno controllo psicofisico del corpo.

Così il soggetto può decidere, in un momento in cui è ancora in grado d’intendere e volere, a quali terapie sottoporsi e a quali sotttrarsi evitando di trovarsi in situazioni in cui non possa esprimere la preferenza.

Nello specifico caso di Nuoro si è adottata la possibilità di scegliere l’interruzione di un trattamento già iniziato e che persegue il fine di allungare la vita senza possibilità di miglioramento, lasciando al paziente la facoltà di scegliere la cessazione della respirazione assistita, dialisi, rianimazione cardio-polmonare, trasfusioni sanguigne, terapia antibiotica.

Una clausola lascia tuttavia al medico la possibilità di non rispettare le disposizioni del paziente nel caso in cui ci siano dei trattamenti sanitari in grado di migliorare sensibilmente le condizioni di salute.

Bioetica del fine vita: le contraddizioni e il pensiero filosofico

Il biotestamento si presenta come un’innovazione legislativa di vasta portata, evidenziando la legalità di alcuni provvedimenti giuridici approvati singolarmente dalla giurisprudenza in passato e segnando una linea guida generale che conduce verso i concetti di autodeterminazione, dignità e tutela del diritto alla salute, peraltro costituzionalmente garantito.

La cornice in cui s’innesta è tuttavia solcata da radici culturali nettamente differenti e principalmente di matrice cattolica, le quali non mancano di evidenziare la separazione dai principi cardine su cui ruota dando vita a problematiche di carattere logico-sociologico insite all’interno della previsione normativa.

Il primo appunto riguarda l’obiezione di coscienza rimarcata dal ministro Lorenzin che, poco dopo l’approvazione al Senato, ha dichiarato il possibile inserimento di questa clausola all’interno del biotestamento. Il problema si manifesterebbe allora in chiave giudiziaria piuttosto che etica, considerando l’illegalità di un’eventuale obiezione non prevista dalla legge sul consenso informato e le Dat.

Peraltro sorgerebbe un quesito riguardo al contenuto di un’eventuale obiezione di coscienza da parte dei medici: difatti, essendo le dichiarazioni anticipate di trattamento (DAT) prevalentemente ricavate in negativo e di carattere omissivo (non voglio questo trattamento, in questa situazione non voglio essere alimentata in questo modo), il dissenso del medico dovrebbe manifestarsi in chiave impositoria e dunque costringerebbe il soggetto a sottoporsi a trattamenti sanitari non dovuti, facendo venire meno il fine per il quale si è giunti all’approvazione.

Il dibattito sul testamento ha poi evidenziato una debole alleanza medica che dovrebbe intercorrere tra i pazienti, i medici e i familiari, affermando che non sempre è possibile trovare un congruo accordo. Tuttavia in tal modo sembra tornare una forma di paternalismo medico secondo la quale il medico avrebbe sempre la situazione sotto mano, conoscendo le attitudini del paziente e le sue volontà, oppure ipotizzando che le pretese dei parenti siano strettamente connesse a quelle del malato, elemento di difficile affermazione ma anche di difficile negazione.

Se da un lato i problemi della bioetica contemporanea riflettono il magmatismo della società ponendo i riflettori su punti di sodo sempre nuovi, dall’altro vi è un substrato che illumina il biotestamento quale interfaccia di una diatriba storico-filosofica che si protrae da tempi immemori: il rapporto uomo-morte.

Già dai tempi dell’antica Grecia, il dibattito aveva portato su posizioni antitetiche Aristotele e gli stoici: difatti, mentre per il primo il gesto del suicidio si presentava come un atto turpe in grado d’infangare la vita disonorando anche la polis, di tutt’altro avviso era la corrente stoica che guardava al suicidio come l’atto che decretava l’effettivo dominio dell’uomo sulla vita, la sua principale autodeterminazione.

L’avvento della filosofia cristiana e della dottrina teologica, ha poi introdotto una nuova concezione della morte, non più mero atto conclusivo dell’esistenza fisica, bensì riconciliazione con Dio. Naturalmente per questo motivo la vita va strenuamente difesa in tutte le sue forme, anche nell’accezione di un’esistenza sofferente e dedita allo sforzo, motivi riscontrabili anche nella ferrea opposizione al biotestamento se letto in chiave moderna.

Del tutto particolare è la posizione privilegiata da Schopenhauer che, indagando il limite dell’incoscio al di là della coscienza, conclude che il suicidio è un atto contrario alla volontà di vita che è immortale e dunque sarebbe un gesto inutile volto a scalfire solo il fenomeno.

Il filo conduttore arriva sino al XX secolo, in cui del rapporto uomo-vita s’interessano in particolare Heidegger e Cioran, l’uno volto a considerare il gesto estremo come un’anticipazione del naturale corso degli eventi, l’altro nel ribadire l’importanza del suicidio quale gesto di estrema libertà nella gestione dell’uomo della propria esperienza vitale.