Quattro sì che hanno posto fine ad anni di sofferenze. Quattro sì che rimarranno nella storia, perché Patrizia Cocco, 49 anni, è stata la prima a pronunciarli, sabato scorso. La legge sul biotestamento, approvata definitivamente dal Senato il 14 dicembre, è entrata in vigore dal 31 gennaio. Da quel momento i malati hanno acquisito il diritto di decidere sull'opportunità di farsi curare, arrivando anche a poter chiedere di interrompere le terapie prescritte dai propri medici, come l’idratazione o la nutrizione forzata. Una norma che ha sollevato numerose polemiche e, come sempre accade per i temi etici, diviso il Paese tra favorevoli, che hanno evidenziato il valore civile di una legge sul fine vita, e oppositori, che hanno invece parlato di ''via italiana all'eutanasia''.

La decisione di staccare la spina

Il dibattito rischia di riaccendersi ora che si è saputo della scelta di Patrizia, compiuta davanti a due testimoni ed al gruppo di dottori che l’aveva in cura, tra cui uno psicologo, un palliativista, un rianimatore, un anestesista ed il medico di base. Dopo aver pronunciato quei quattro sì, la donna è stata sedata e sono stati staccati i macchinari che assicuravano la ventilazione meccanica, tenendola in vita. In tal modo le è stata assicurata una fine priva di sofferenze. ''La scelta di Patrizia è stata lucida e coraggiosa'' ha spiegato il suo legale Sebastian Cocco, cugino della donna. La nuova legge permette ai medici di poter rispettare immediatamente le volontà di un malato, senza doversi rivolgere prima ad un giudice, come accaduto in passato ad esempio nel celebre caso di Eluana Englaro, quando i familiari furono costretti ad imbarcarsi in una lunga battaglia legale per far rispettare le volontà della giovane.

La storia di Patrizia

Secondo l’avvocato ''Patrizia aspettava da anni questa legge, dal momento in cui si era sentita imprigionata dalla sua malattia che le ha permesso di sopravvivere, ma in condizioni che da tempo non erano più sopportabili''. Così è arrivata la decisione più difficile per la donna che, fino a quando ne aveva avuto le forze, aveva gestito un’agenzia di viaggi a Nuoro.

Ma la malattia aveva preso il sopravvento, nonostante i tanti tentativi di cura, ma anche le troppe delusioni, come l’impossibilità di poter entrare in un programma di cura sperimentale sviluppato dall’Ospedale Niguarda di Milano. Nello scorso giugno la donna si era rivolta all'Associazione Luca Coscioni per ricevere tutte le informazioni necessarie.

''Patrizia ormai scriveva solo grazie un (comunicatore oculare), ci diceva di vivere un incubo, di non essere in grado di muovere muscoli, andando avanti solo grazie alle macchine a cui era attaccata (ha spiegato Filomena Gallo, segretario nazionale dell'Associazione) voleva solo smettere di soffrire, ma non poteva permettersi la Svizzera”.