Ghouta come Aleppo. I social network espongono foto raccapriccianti, per lo più bambini tra le macerie. A fasi alterne, in base alle tendenze del momento, il decadente Occidente torna a parlare della guerra in Siria. I post su Facebook hanno tutto il nostro sdegno, per un disastro umanitario che certamente non è iniziato da pochi giorni, ma anche per l'ipocrisia della gente che li pubblica. In pochi conoscono davvero la complessa questione siriana, eppure tutti si sentono in grado di indicare presunte soluzioni su ciò che la politica internazionale dovrebbe attuare per aiutare i civili sotto i bombardamenti.

Si dichiarano indignati. Da qualche giorno, in effetti, la stampa occidentale ha riacceso i riflettori sulla Siria parlando di bombardamenti indiscriminati, strage di bambini e l'uso di armi chimiche il cui spettro si manifesta in maniera ciclica su questo immane disastro. Oggi la questione siriana è nuovamente un 'topic' e la solidarietà di circostanza è uno degli aspetti più falsi e vergognosi del presunto mondo civile.

Ghouta, un assedio che dura da cinque anni

Chi ha seguito le vicende siriane fin dallo scoppio della sedicente rivoluzione, in realtà sostenuta da Paesi stranieri (Arabia Saudita e Qatar in primo luogo), sa bene che i combattimenti nella Ghouta Orientale durano ininterrottamente da cinque anni ed è un assedio che, per durata, ha addirittura superato quello di Sarajevo (che durò quattro anni, ndr).

Ci chiediamo pertanto dove siano stati in tutto questo tempo gli improvvisati analisti politici e gli ipocriti della rete. L'utilizzo di armi chimiche oltretutto non è una novità: il 21 agosto del 2013 alcune aree della Ghouta furono colpite da missili contenenti gas sarin le cui esalazioni uccisero centinia di persone. Ci sono fonti che indicano in poco meno di 300 i morti in quella circostanza, altre parlano di oltre 1.700 vittime.

La fonte ricorrente è l'Osservatorio Siriano per i diritti umani ed è la meno attendibile visto che si tratta di una celebre impostura con sede all'estero, fondata dal dissidente Rami Abdulrahman, un siriano musulmano sunnita residente a Coventry, nel Regno Unito. L'Osservatorio è il principale megafono dell'opposizione anti-Assad ed in passato è stato protagonista di alcune abili 'montature'.

La più nota riguarda il massacro di Houla, maggio 2012. L'eccidio in questione era stato imputato all'esercito regolare siriano, coraggiose inchieste di cronisti indipendenti dimostrarono invece la responsabilità delle milizie jihadiste. Nel caso della Ghouta, le responsabilità dell'attacco chimico non sono mai state chiarite così come non ci sono prove certe sugli autori della strage di Khan Sheikhun dello scorso anno.

La resistenza delle milizie jihadiste

L'area della Ghouta Orientale venne occupata dalle milizie jihadiste nel 2012 ed è attualmente sotto il controllo dell'Esercito dell'Islam, conosciiuto anche con il nome di 'Brigate di Jaysh al-Islam', gruppo armato fondato dal siriano salafita Zaharan Alloush che morì nel 2015 sotto le bombe russe.

Quando l'area cadde nelle mani degli islamisti, gli abitanti di religione musulmana alawita (la stessa del presidente siriano Bashar al-Assad, ndr) vennero imprigionati e, successivamente, usati come scudi umani al fronte dove combatteva l'Esercito dell'Islam. Nel 2013 è iniziato l'assedio dell'esercito siriano, successivamente supportato dall'aviazione russa. Dalla Ghouta partono tutt'ora razzi e colpi d'artiglieria verso Damasco che dista un paio di km, motivo per cui la zona viene bombardata dalle forze governative. Dopo la presa di Aleppo e la 'bonifica' della provincia di Deir Ezzor, senza contare la caduta di Raqqa dove si è consumata la sconfitta definitiva dell'Isis ad opera della coalizione a guida USA, le 'sacche' di resistenza dei miliziani jiahdisti in territorio siriano sono rimaste in poche.

Quello della Ghouta Orientale è uno di questi avamposti che ancora resiste, motivo per cui l'esercito siriano continua a cingerla d'assedio.

Perché non viene rispettato il 'cessate il fuoco'?

Naturalmente la questione siriana si gioca principalmente sui tavoli della politica internazionale. Secondo quanto divulgato dalla stampa occidentale, il 'cessate il fuoco' votato dal Consiglio di sicureza dell'Onu sarebbe stato deliberatamente violato dall'esercito siriano e dalla Russia. Anche in questo caso l'informazione che viene fornita è parziale: la risoluzione che chiede 30 giorni di tregua per consentire l'ingresso dei corridoi umanitaria nella Ghouta Orientale non riguarda le ostilità dirette contro le milizie islamiste.

Anche Mosca si è detta favorevole al cessate il fuoco, a patto che la sospensione delle azioni belliche, appunto, non coinvolga i gruppi jihadisti, dunque la quasi totalità delle forze di resistenza presenti nell'area.

Due pesi e due misure

A margine di questa analisi, sarebbe lecito chiedersi per quale motivo non vengono mai diffuse le immagini dei civili morti nei raid statunitensi, anche perché in Siria sono stati migliaia. Secondo l'Ong americana 'AirWars' solo negli ultimi tre anni sarebbero stati oltre 3.800 le 'vittime collaterali' dei bombardamenti della coalizione a guida USA in Siria ed Iraq, a fronte delle cifre diffuse dal Pentagono che indicano il numero in meno di 500 unità. Lo scorso giugno, però, un rapporto ufficiale della Difesa di Washington ammise la 'morte per errore' di oltre 300 civili in soli due mesi, tra marzo ed aprile del 2017, quando l'aviazione USA intensificò i raid contro l'Isis.

Ma non stiamo a fare la guerra delle cifre, piuttosto ci chiediamo come mai l'impatto mediatico non sia lo stesso. A maggio dello scorso anno 106 civili, tra cui 42 bambini, perirono in un raid statunitense sulla città di Mayadin, nella parte sud-orientale della Siria. Non ricordiamo profili Facebook listati a lutto o reportage fotografici a riguardo, a quanto pare per diventare il macabro simbolo di questa tragedia un bambino deve finire la sua breve vita sotto una bomba di Damasco o Mosca. Quanto sta accadendo oggi ci riporta indietro ai giorni di fine estate del 2016, quando l'assedio di Aleppo era praticamente all'epilogo. Anche in quella circostanza i criminali di guerra erano da ricercare tra le truppe di Assad e le forze armate russe.

I civili, pedine di un gioco perverso

Sarebbero oltre 400 mila i civili residenti nell'area in condizioni terribili e quotidianamente a rischio della vita, ma indicare in Bashar al-Assad l'unico responsabile di questo massacro è un comodo paravento. Stiamo certamente parlando di un leader autoritario, tutt'altro che uno stinco di santo: la Siria degli Assad è un Paese laico, ma è certamente lontano da qualunque forma di democrazia. Eppure non è stato il governo di Damasco ad innescare la miccia: tra i responsabili del disastro siriano ci sono soprattutto gli Stati Uniti e gli alleati europei, sostenitori di una rivoluzione che annidava tra le proprie file mercenari e soggetti radicalizzati, o Paesi come l'Arabia Saudita che tutt'ora supporta l'Esercito dell'Islam nella Ghouta.

Russia ed Iran hanno fatto una scelta di campo, hanno i loro interessi economici e politici in Siria e sostengono Assad. Se per l'Occidente è contestabile l'appoggio a colui che viene dipinto come un crudele tiranno, Mosca e Teheran criticano giustamente il supporto che Washington ha dato a ribelli la cui maggioranza è costituita da guerriglieri jihadisti. Con l'intervento militare della Russia, però, la situazione del leader di Damasco che meno di tre anni fa sembrava disperata, si è ribaltata. L'Occidente non si è ancora rassegnato alla vittoria politica e militare del presidente siriano il cui governo, che piaccia o meno, rimane l'unico legittimo ed internazionalmente riconosciuto nel martoriato Paese mediorientale.

Così le immagini di morte vengono riproposte, per suscitare lo sdegno dell'opinione pubblica. Quelle immagini sono quotidianità da sette anni, dal 2011 ad oggi in Siria non si è mai smesso di morire sotto le bombe o i colpi di mortaio. Alla fine sono tutti consapevoli che i frequentatori dei social network le dimenticheranno presto con la patetica illusione di essersi lavati la coscienza, salvo poi tornare ad insultare i profughi che arrivano dai Paesi in guerra. In questo gioco perverso, i civili della Ghouta muoiono due volte.