Grazie alla sentenza del tribunale di Messina, una giovane potrà abbracciare la sua vera identità. Da anni, ormai, la donna era seguita da uno psicoterapeuta e dal 2015 aveva iniziato una terapia ormonale, consolidandosi fino a diventare irremovibile la sua decisione di cambiare sesso. “Un episodio di straordinaria importanza”, così il suo avvocato definisce quanto accaduto nell’aula di tribunale, un episodio a cui, certo, bisognerà guardare da oggi in poi. Il giudice non solo ha detto sì alla procedura chirurgica del cambio di sesso, ma anche al cambio dei dati nei documenti di riconoscimento.
L’importanza di questa sentenza, infatti, non si evince solo dal consenso al trattamento chirurgico, ma anche dal rilievo che viene dato al diritto al nome. D’altronde, il nome identifica un individuo ed è un aspetto fondamentale nella sua esistenza sia nella sfera privata che nel rapporto con gli altri. Ci sono casi di transessuali, in cui il cambio di nome è sufficiente per completare la transizione, senza dover ricorrere necessariamente alla chirurgia. Perché per quanto si possa condurre la propria esistenza da donna, sui documenti di riconoscimento resterà sempre un nominativo maschile o viceversa, a seconda del caso. Non ritrovarsi nel proprio nome può portare ad un dissidio tra generalità e identità.
Per quanto, però, la decisione presa dal tribunale di Messina possa apparire di grande valore sul piano dell’identità individuale, ci sono transessuali che si battono affinché non siano più necessarie le sentenze dei giudici: cambiare sesso è una decisione personale, ribattono, dal momento che il corpo è un aspetto proprio dell’individuo; proprio per questo, un provvedimento del genere non dovrebbe essere messo nelle mani di un giudice.
La disforia di genere
“Dio mi ha fatto donna”, recita Eddie Redmayne nel film “The Danish Girl”. Una frase che rappresenta una vera e propria rivoluzione copernicana. Se la Chiesa ritiene che la volontà di Dio è nel corpo da lui datoti e che la malattia, la perversione sta nel desiderio di essere altro, nel film questa posizione viene completamente ribaltata: la volontà di Dio risiede nello spirito, mentre è il corpo ad essere "malato".
La disforia di genere, più comunemente nota come disturbo dell’identità di genere, è l’immedesimazione nel sesso opposto a quello rappresentato dall’aspetto fisico ed esteriore. Quello a cui si assiste è un vero e proprio dissidio tra mente e corpo, che porta inevitabilmente ad una profonda sofferenza che può portare a depressione, ansia, abuso di sostanze e, in casi estremi, anche al suicidio [VIDEO]. La sensazione più comune riportata dalle persone transessuali è quella di sentirsi prigioniere in un corpo che non sentono come il loro. Non è raro che questo contrasto tra identità propria e identità del corpo possa essere già percepito in età precoce, come esistono casi in cui tale dissidio viene a galla solo in età adulta.
Molte persone tendono ad associare la transessualità all’orientamento sessuale o ad una presa di ruolo. In realtà, la disforia di genere è un pezzo a sé stante che, insieme ai due sopracitati, va a comporre l’identità di un individuo. In più c’è la tendenza a confondere il transessuale con il cosiddetto travestito. Quest’ultimo, però, si differenzia perché non avverte l’esigenza di assumere l’aspetto del sesso opposto.
La strada da percorrere
Per quanto la sentenza di Messina offre speranza alle persone che desiderano ultimare la loro identificazione con l’altro sesso, la strada che un transessuale deve percorrere affinché tale processo venga concluso è molto lunga. Prima di arrivare a cambiare sesso, infatti, l’individuo deve essere sottoposto ad anni di psicoterapia, per essere certi della diagnosi, nonché a trattamenti ormonali, lì dove la salute lo consenta.
Solo allora si può presentare domanda al giudice per procedere al trattamento chirurgico. Tutte tappe che ha percorso la giovane donna di Messina, che grazie alla sentenza positiva del giudice potrà completare il suo percorso ed essere finalmente se stessa, anzi se stesso. Certo, la strada da percorrere in questo campo è ancora lunga, perché non tutti i casi finiscono come quello di Messina, non tutti i giudici dicono sì.