Trentacinque miliardi di anni fa, un asteroide di 10 chilometri fu l’artefice della scomparsa del 75% di tutti gli organismi viventi presenti sulla terra in quel periodo. Fu un impatto drammatico: inverno nucleare, piogge acide, tsunami, copertura totale del sole e sconvolgimento delle correnti oceaniche furono tutte conseguenze di questo singolo evento. La vita quindi, dopo questi eventi, ebbe forti difficoltà a tornare alla luce: il cratere di Chesapeake Bay, di 85 chilometri, a seguito dell’impatto col meteorite che lo generò, restò un deserto senza vita per migliaia di anni.

All'interno, invece, del cratere Chicxulub le ultime ricerche svolte dalla University of Texas Institute for Geophysics ad Austin hanno scoperto che la vita, dopo tutto, non ci ha messo molto a riformarsi. Infatti, solo dopo qualche anno dal terribile impatto, piccoli organismi, conchiglie e plancton sono tornati prontamente nella zona.

Una possibile via di scampo per la vita

Il merito di questa pronta ricolonizzazione è da attribuirsi al luogo di atterraggio del meteorite e alla conformazione del cratere risultante: difatti, la cicatrice nella terra, dal diametro di 150 chilometri, aveva un fronte aperto verso il golfo del Messico. Questo particolare morfologia ha consentito che l’acqua proveniente dal fondo oceanico ricca di nutrienti, potesse fluire all'interno del cratere.

L’acqua, inoltre, aveva la possibilità di porsi in ricircolo, mettendo in comunicazione il cratere con l’ambiente oceanico. Questo garantì un ricambio di sostanze, creando un nuovo ecosistema aperto e permettendo la rinascita della vita. In altri crateri, non essendo presente questo scambio, l'ossigeno consumato dalla decomposizione della materia organica non veniva reintegrato da organismi anaerobi o fotosintetici; la vita aerobica più complessa sarebbe presto morta.

Una finestra sul riscaldamento globale

La magnitudo dell’energia liberata dall'impatto del meteorite è stata impressionante: stando alle stime, si parla di 190.000 gigatoni, ovvero tre milioni di volte più potente rispetto all'ordigno atomico più potente mai fatto esplodere (bomba Tsar, 57 megatoni), o quasi un milione di volte più potente dell’esplosione del vulcano di Krakatoa (200 megatoni).

Per fare un confronto, la bomba che annientò la città di Hiroshima, sviluppò un’esplosione di 1 megatone.

Questo evento provocò un cambiamento climatico di dimensioni bibliche. In questo momento, l'umanità sta perdendo giorno dopo giorno una guerra contro il cambiamento climatico e, in maniera ancora più eclatante, contro le sue conseguenze sull'ecosistema marino. L’esplosione provocata da questo meteorite può essere stata forse l’unico fattore nella storia del pianeta ad aver sconvolto gli equilibri marini più velocemente di quanto non lo stia facendo in questo periodo l’uomo con la sua azione inquinante. Lo studio che, attraverso ricerche bio-geochimiche, ha chiarito come in così poco tempo si sia potuta recuperare la vita negli oceani, dopo un evento così devastante da far fatica a concepirlo, può fornire dati sul recupero della biodiversità marina. Con questi dati, forse, si avrebbe la possibilità di ribaltare le sorti di questa battaglia che vede l'umanità contro se stessa e riuscire a preservare la terra e le creature che la abitano.