Era la metà degli anni ’60 quando il francese Jacques Cousteau, esploratore e oceanografo solcava le profondità marine con il suo sottomarino, tale Deepstar 4000, alla ricerca di nuove forme di vita a decine e decine di metri sotto il pelo dell’acqua. Nell’Oceano Antartico e mari limitrofi – ma anche nelle acque del Regno Unito - notò una medusa descritta per la prima volta nel 1967 dal biologo marino inglese Frederick Stratten Russell alla quale venne dato il nome di Deepstaria enigmatica. L’ombrella – la zona superiore convessa- della medusa venne descritta come molto sottile e ampia, talmente tanto da raggiungere approssimativamente i dieci metri in teorizzabili esemplari di grandi dimensioni, e priva di tentacoli.
Ma allora perché tutto questo silenzio dietro a questa enorme seppur splendida creatura? La sua reperibilità non è di così comune facilità sebbene si sappia dove viva e in quali mari può spingersi sia attivamente che trasportata controvoglia dalle correnti marine. Il fattore che più incide sulla mancanza di osservazione di questo cnidario è la profondità nella quale vive buona parte del suo ciclo vitale adulto. La zona eufotica ossia la zona in cui la luce del sole è ancora così incidente da permettere la fotosintesi si attesta attorno ai 200 metri. La zona disfotica ossia la zona in cui la luce del sole non permette già più la fotosintesi si attesta attorno ai mille metri. Le testimonianze della presenza di questa medusa si hanno in profondità tra gli 800 metri e i 1800, quindi è ben chiaro che il remoto habitat nel quale vive, pongono la sua osservazione ad un livello di difficoltà estremo.
Ma la fortuna volle il contrario
“È come immergersi con una torcia a stilo”, dichiara il biologo marino Gruber, dopo aver immortalato per puro caso la medusa a maggio di quest’anno dopo mezzo secolo di ombre. Degli esemplari incompleti vengono anche osservati, alle volte riescono delle fotografie o osservazioni tramite i finestrini dei sottomarini, ma si tratta sempre di resti di queste meduse che vengono predate e mai dell’esemplare in vita così da formare una idea sempre più consistente per la specie.
Pochi mesi prima della riscoperta Gruber, l’ingegnere della Università del Rhode island Brennan Phillips e i loro colleghi hanno messo una fotocamera ipersensibile, una Canon ME20F-SH all’interno di un modulo sottomarino a forma di sfera in vetro temprato per la pressione abissale. Il modulo marino era montato sul sottomarino a comando remoto Hercules, andando oltre i 950 metri.
Considerando la vastità dell’ambiente attorno a loro, possiamo solo immaginare le loro espressioni trovandosela a portata di fotocamera dopo così tanto tempo. “La medusa stava andando via, alla deriva dal sottomarino ma non l’abbiamo raccolta” racconta il biologo marino, “abbiamo fatto in tempo ad avvistarla e fotografarla perché è fragile e galleggia in queste acque così profonde”.