È morto nelle scorse ore per insufficienza cardiaca l’influente voce della società ebreo-americana, Philip Roth. La conferma arriva dal New York Times. 85 anni e una vita piena di successi, dal Premio Pulitzer, vinto nel 1998, alla più recente premiazione alla Casa Bianca con la National Humanities Medal. Unico neo, l’assenza di un premio Nobel da sempre rincorso e mai ottenuto, nonostante le numerose candidature.
Addio pesante per il mondo della letteratura, quello di un simbolo, ritiratosi nel 2012, che con il suo particolare stile, caratterizzato da una sincerità a tratti cruda e pungente, ha saputo far luce sui delicati aspetti dell’identità americana.
Il background
Maestro di letteratura e vita, da molti definito un genio ed innovatore, Philip Milton Roth nasce a Newark, New Jersey, nel marzo 1933. Figlio di immigrati galiziani di origine ebraica, il celebre scrittore statunitense è da sempre stato attratto dalla dimensione ebraica, quella vissuta in prima persona durante gli anni della passata gioventù, vista in relazione al contesto americano. Argomento di discussione prediletto, Roth ne approfondisce ogni aspetto, anche quello più critico, facendo proprio un linguaggio, ora caratteristico del suo personaggio, in continuo cambiamento, che da grottesco passa ad essere ironico e comico.
Una vita, la sua, trascorsa a stretto contatto con la letteratura; prima laurea presso la Bucknell University, poi il master in letteratura anglosassone.
Per un breve periodo insegnante universitario di scrittura creativa e storia della letteratura, il primo successo arriverà solo nel 1969 con l’opera capolavoro, “Il lamento di Portnoy”. I successivi 40 anni saranno totalmente dedicati alla produzione letteraria, fino al 2009, data in cui annunciò il suo ritiro.
Con alle spalle una produzione letteraria di circa 30 romanzi, nel novembre 2012, Roth ufficializzò ai microfoni della stampa francese, l’intenzione di smettere con la narrativa.
Il timore: non sentirsi più all’altezza dei precedenti capolavori. Una decisione razionale, conforme al suo stile, seguita dalle altrettanto chiare disposizioni di distruggere i suoi archivi una volta morto.
La produzione letteraria: da 'Il lamento di Portnoy' a 'Nemesi'
Quello di Philip Roth è forse uno dei repertori letterari più vasti ed influenti della narrativa contemporanea, che sin dalle prime pubblicazioni ha saputo scatenare numerose discussioni.
L’esordio con “Addio Columbus”, nel 1959, poi arrivarono i successi di “Il lamento di Portnoy”, che portò l’autore ad essere letto in tutto il mondo, e “Pastorale Americana”, romanzo di stampo politico-sociale, vincitore del Premio Pulitzer. L’ultimo lavoro, “Nemesi”, arriva nel 2010, e con questo l’occasione di annunciare il ritiro dal mondo della scrittura. Una passione, coltivata per tutta la vita, che lui stesso in un’intervista definisce frustrante.
Muore un uomo che della sua condizione sociale, ha fatto argomento di discussione, che con il suo stile, per molti sopra le righe, ha saputo rivoluzionare i canoni del romanzo tradizionale.