Dopo 19 anni finalmente si avvicina la verità sulla morte del parà siciliano Emanuele Scieri, trovato privo di vita il 16 agosto 1999 ai piedi di una torretta nella caserma Gamerra di Pisa.

Il giovane era sparito nel nulla dalla sera del 13 agosto, quando era arrivato insieme ad altre 70 reclute, dopo un breve periodo passato al Car di Scandicci, nella caserma Gonzaga.

Per anni si era parlato di suicidio, ma i familiari del 26enne, già laureato in legge e praticante presso lo studio di un avvocato, non hanno mai accettato questa versione.

Anche la Commissione parlamentare d’inchiesta istituita nel 2016 è arrivata lo scorso dicembre, alla fine dei suoi lavori, a concludere che il giovane quella sera è stato aggredito: così sono state riaperte le indagini, fino all’arresto di un ex militare, accusato di concorso in omicidio.

Gli indizi che escludono l’ipotesi di suicidio

Infatti mercoledì primo agosto la squadra mobile di Firenze ha arrestato Alessandro Panella, 39 anni, un ex caporale della Folgore, con l’accusa di avere ucciso insieme ad altre persone il parà siciliano. L’uomo, che era in procinto di partire per gli Stati Uniti, è finito agli arresti domiciliari nella sua residenza in provincia di Roma: altri due ex commilitoni, tra cui un militare ancora in servizio a Rimini, sono indagati.

Non si è trattato quindi di un suicidio: il giovane, vittima di una serie di violenti atti di nonnismo, poteva essere anche salvato, ma è stato lasciato per ore agonizzante a terra, nascosto sotto un tavolo, come ha spiegato il procuratore capo Alessandro Crini.

Del resto, anche durante i lavori della Commissione parlamentare erano emersi diversi indizi che escludevano che Scieri si fosse tolto la vita, come la posizione in cui era finita una sua scarpa, molto lontana dal corpo, o le ferite sul dorso del piede sinistro e sul polpaccio, incompatibili con la caduta dalla torre.

La ricostruzione dell’ultimo giorno di vita di Scieri

Dunque, grazie ai lavori dei parlamentari che hanno contribuito a fornire nuove prove per le indagini, dopo anni di atteggiamento omertoso sull’accaduto da parte dei militari della Folgore, si è potuto ricostruire cosa è realmente accaduto quel 13 agosto.

Già il trasferimento alla Gamerra avviene in condizioni disumane, con i giovani soldati fatti viaggiare con i finestrini chiusi ed il riscaldamento al massimo, obbligati a rimanere nella posizione della sfinge.

È probabile che Scieri, più grande dei suoi commilitoni, si sia rifiutato di subire questi atti di nonnismo.

Poi la sera in piazza dei Miracoli, durante la libera uscita, la telefonata con il cellulare alla madre – l’ultima della sua vita – per tranquillizzarla.

Ma, al ritorno in caserma, riprendono le violenze: Scieri viene spogliato e colpito con pugni e calci. Nella torretta lo obbligano a salire su una scala di 10 metri – normalmente utilizzata per asciugare i paracadute – da dove precipita “in conseguenza degli atti di violenza e minaccia”. Il giovane viene colpito ancora quando è a terra dolorante. Poi, è abbandonato al suo destino per tre giorni, finché non sarà ritrovato ormai privo di vita.

Contemporaneamente si alza un muro di omertà nella caserma: nessuno sa o ha visto nulla. Anche le intercettazioni ambientali hanno avuto importanza nella ricostruzione dei fatti: ad esempio, in una di queste si sente Panella commentare con il fratello la perquisizione subita, rallegrandosi di aver buttato, proprio pochi giorni prima dell’arrivo delle forze del’ordine, gli anfibi usati quella notte durante il pestaggio.