Un racconto scioccante: una ragazzina di 14 anni strappata nel 1972 dalla sua terra, la Calabria, e venduta dai familiari per 500mila lire all’uomo che diventerà il suo sposo. Una vita comprata per una somma che all’epoca consentiva di acquistare una 500. E poi anni ed anni di soprusi e maltrattamenti, culminati nella richiesta da parte del marito-padrone di andare in strada a prostituirsi per lui. È questo il quadro, descritto dall’avvocato della difesa Marina Bisconti, in cui è maturato il delitto di Severino Viora, operaio in pensione, ucciso nel 2016 e nascosto nel noccioleto di casa, a Paroldo, in provincia di Cuneo.

Per questa vicenda la Corte di Assise d'Appello a Torino ha confermato la condanna a 21 anni e tre mesi per Assunta Casella, moglie della vittima.

La scoperta del corpo della vittima nel noccioleto di Paroldo

La donna si è sempre dichiarata innocente e non ha mai spiegato le ragioni di quel delitto, nonostante le prove la inchiodassero. L’8 giugno del 2016 il corpo dell’uomo era stato ritrovato in un noccioleto nelle campagne di Paroldo, parzialmente coperto con della terra, in una posizione che rendeva improbabile la morte naturale.

A denunciarne la scomparsa erano state le figlie, mentre la moglie sosteneva che Severino si era allontanato volontariamente da casa, per una vacanza. Comportamento inusuale per un anziano noto in paese per la vita monotona e casalinga che conduceva.

Dopo tre mesi dalla scoperta del cadavere Assunta era stata arrestata: infatti l’autopsia aveva confermato che la vittima era stata prima sedata con un potente sonnifero e in seguito uccisa per asfissia meccanica, ossia per strangolamento: ed è stato proprio il medicinale ad incastrare la donna.

La Corte di Assise d'Appello a Torino ha confermato la condanna

Infatti Assunta Casella poco tempo prima si era fatta prescrivere proprio quella sostanza, lo Zolpidem, che gli esami tossicologici avevano trovato nel sangue del marito. Accusata di omicidio volontario ed occultamento di cadavere, era già stata condannata in primo grado a 21 anni e tre mesi di reclusione.

Nel processo di appello il suo legale ha rivelato diversi particolari sulla vita della coppia, mai emersi fino a questo momento. Ne è emerso il ritratto di una donna comprata da quell’uomo e poi costretta per anni a subire angherie, perfino a prostituirsi: per queste ragioni la difesa aveva invocato le attenuanti generiche, in caso di condanna.

Non la pensava allo stesso modo il procuratore generale Nicoletta Quaglino, che è arrivata a chiedere l’ergastolo per l’imputata. Inoltre ha ricordato come la Casella non abbia mai voluto collaborare con gli inquirenti, aggiungendo che le vicende avvenute 45 anni prima non sarebbero dovute entrare nel processo per un omicidio. Con decisione salomonica, la Corte d’Appello ha invece riconosciuto le attenuanti richieste dalla difesa, ma ha anche stabilito la loro equivalenza alle aggravanti. E quindi ha confermato la pena a 21 anni e tre mesi.