Una vicenda davvero inquietante, conclusasi circa un anno fa: ad Arzachena, in provincia di Sassari, un bambino all'epoca dei fatti di 11 anni è stato segregato in casa e torturato per mesi dai genitori, con la complicità della zia. Nelle ultime ore sono state depositate le motivazioni della sentenza con cui il mese scorso Marco Contu, giudice del tribunale di Tempio Pausania, aveva condannato il padre, la madre e la zia del piccolo a otto anni di reclusione per i reati di maltrattamenti in famiglia e sequestro di persona: così sono emersi nuovi agghiaccianti particolari su questa storia.

In particolare desta sgomento la descrizione di alcune delle torture che il piccolo doveva subire: come quando, ad esempio, il padre ha registrato sul cellulare messaggi con la voce artefatta in cui si spacciava per il diavolo e minacciava il bimbo di portarlo all’inferno se non avesse ubbidito ai genitori, comportandosi bene. Successivamente queste parole sono state trasmesse nella stanza dove il bambino era obbligato a rimanere per ore, rinchiuso al buio.

Nelle motivazioni alla sentenza il giudice elenca le ragioni del comportamento dei genitori

Il giudice Contu definisce gli imputati come persone “senza scrupoli e spietate”, che si sono dimostrate “prive di umanità e di senso morale” e che non si sono fatte problemi a compiere abusi fisici e psicologici su un soggetto minorenne e indifeso, arrivando a torturarlo.

Dalle motivazioni della sentenza emergono anche le ragioni del comportamento dei genitori che, pur di trascorrere il loro tempo libero fuori casa senza doversi curare del bambino, uscivano a divertirsi chiudendo il piccolo in una stanza dell’abitazione di famiglia, nelle campagne di Arzachena.

È stato lo stesso bambino a denunciare i genitori

Per "educare il bambino" i genitori non si facevano scrupoli a segregarlo sistematicamente in quella che è stata ribattezzata come “la villetta degli orrori”. Infatti la sua camera aveva le porte e le finestre sbarrate, senza letto: il piccolo rimaneva al buio ed era costretto a sfamarsi con due pagnotte rafferme e una bottiglia d’acqua, mentre per i bisogni doveva usare un secchio.

Restava da solo in casa per intere serate, mentre i genitori uscivano per recarsi da amici o per partecipare a feste in famiglia. Ma la notte del 29 giugno 2019, il bimbo – che oggi ha 12 anni – ha chiamato il 112 da un cellulare privo di scheda telefonica. Così è arrivata la richiesta d’aiuto ai carabinieri, che si sono sentiti raccontare dal piccolo protagonista una storia agghiacciante. Una volta giunti in quell'abitazione, i militari dell’Arma hanno tratto in salvo il minorenne.

I genitori e la zia del piccolo hanno ammesso le loro responsabilità

Un aiuto alle indagini è arrivato dai diari scritti dall’11enne, in cui erano descritte tutte le violenze subite: il piccolo parlava anche del suo desiderio di chiudersi in seminario per sfuggire da quella casa in cui non si sentiva felice.

Nei mesi successivi, oltre ai genitori, anche la zia del bambino è finita in carcere con le stesse accuse, perché ritenuta l’istigatrice dei reati. I tre – tramite i loro avvocati Alberto Sechi, Angelo Merlini e Marzio Altana – hanno ammesso di essersi comportati in quel modo, trovando una giustificazione alle punizioni nel carattere troppo vivace del bimbo. Ma il giudice, nelle motivazioni alla sentenza, ha parlato di “accanimento maligno” da parte loro, a volte perfino “perverso”: per Contu non si è trattato di un caso di follia, ma di “crudeltà, insensibilità e cinismo” nei confronti del minore, che era spesso vissuto dai genitori come un ostacolo, perché impediva loro di trascorrere del tempo fuori casa.