A un mese dall'esplosione avvenuta nell'hangar numero 12 del porto di Beirut dove erano ammassate poco più di 2500 tonnellate di nitrato di ammonio, la città non si ferma. Devastante il numero di persone coinvolte: circa 200 morti, 7 dispersi e migliaia di sfollati.

Incessanti sono gli sforzi del team di ricercatori cileni che scavano sotto le macerie dei palazzi crollati: i testimoni raccontano degli sforzi per attraversare i cumuli di detriti per cercare possibili superstiti.

La speranza

La capitale libanese, nella giornata di ieri, è tornata di nuovo a sperare: i cani impiegati dai team di soccorso avevano individuato tracce di presenza di battito cardiaco, pertanto segno di una persona ancora in vita.

Centinaia di persone si sono radunate intorno al luogo per sostenere i soccorritori e criticare le autorità. Sembra, infatti, come raccontato da testimoni sui Social media, che i mezzi pesanti richiesti per le ricerche non fossero arrivati tempestivamente. Ad aggravare la situazione, le ricerche si sono interrotte a causa di un muro che non sembrava abbastanza stabile, pertanto fonte di pericolo per gli stessi soccorritori.

La delusione

Dopo un sopralluogo di alcune soccorritrici che sono riuscite ad intrufolarsi tra le macerie, viene del tutto allontanata la possibilità di superstiti nel luogo di ricerca, spegnendo di fatto quest'ultimo barlume di speranza che aveva riacceso i cuori e le menti del popolo libanese.

A un mese dall'esplosione, la popolazione risulta piegata dall'immane tragedia vissuta. A tutto questo, va aggiunto un paese stremato dalla crisi economica, dall'emergenza sanitaria di coronavirus e dallo scarso accesso all'acqua che comporta l'impossibilità per migliaia di famiglie di far fronti ai bisogni di prima necessità.

Continua, inoltre, la ricerca da parte del personale giudiziario per capire chi fosse a conoscenza della presenza del potente esplosivo.

Quanto accaduto, infatti, ha comportato le dimissione dell'intero governo guidato dal premier Hassan Diab, ritenuto primo responsabile politico: sembra infatti, che insieme al presidente Michel Aoun fosse a conoscenza della pericolosità di quanto presente presso il porto attraverso un dossier consegnato il 20 luglio.

Un ulteriore mistero è comprendere chi sia il proprietario del nitrato, chi abbia pagato e perché non reclami quanto di sua proprietà. Tante domande che riportano ad un groviglio di nomi e società difficilmente individuabili e rese ancora più drammatiche dal rinvenimento di altra 4 tonnellate di nitrato conservate presso un container sempre nel porto, come riferito dall'esercito libanese.

Domande, paura ed incertezze che dilaniano un popolo già martoriato da anni di privazioni.