Le tensioni in Medio Oriente si stanno riaccendendo sempre di più tra israeliani e palestinesi. Dopo una serie di scontri che si sono verificati tra i manifestanti palestinesi e la polizia israeliana nei pressi della porta di Damasco, il punto massimo di maggior tensione si è raggiunto proprio nell’ultimo giorno del Ramadan, venerdì 7 maggio. Qui migliaia di persone si sono radunate all'ingresso della Città Vecchia, sulla spianata della moschea di al-Aqsa a Gerusalemme est, considerato un luogo sacro e venerato sia dai musulmani, che lo chiamano Haram al-Sharif, sia dagli ebrei, per i quali è noto come il Monte del Tempio.

I razzi lanciati da Gaza verso Israele

Hamas, il gruppo armato che controlla Gaza, aveva chiesto a Israele di rimuovere la polizia dai luoghi sacri, ma dato che il suo ultimatum è rimasto inascoltato, da lunedì sera ad oggi, infatti sono stati lanciati circa 1500 razzi da Gaza verso diverse città israeliane, colpendo anche Tel Aviv, nelle vicinanze dell'aeroporto Ben Gurion. Hamas ha affermato di aver agito per difendere la moschea dall’aggressione e dal terrorismo israeliano derivato dalle continue limitazioni delle libertà subite dai palestinesi durante il mese sacro del Ramadan. La risposta di Israele non si è fatta attendere, in quanto sta portando avanti una pesante offensiva militare. Negli attacchi aerei sono stati centrati 600 obiettivi militari a Gaza e sono stati uccisi almeno 10 alti esponenti militari di Hamas e sono caduti dei grattaceli nei quali si trovavano le strutture dell'organizzazione palestinese.

Secondo i funzionari sanitari palestinesi, gli attacchi aerei israeliani hanno provocato almeno 72 morti, tra cui 17 bambini e 6 donne.

In più, per la prima volta dall'inizio dello scontro, le forze militari israeliane hanno lanciato un allarme razzi anche nella parte nord del Paese, anche se ancora nessun razzo è caduto nel Nord.

Lo sfratto delle famiglie palestinesi

Il dissenso palestinese è stato alimentato poi anche a seguito della sentenza della Corte Suprema israeliana che prevede lo sfratto di alcune famiglie palestinesi dalle loro case nel quartiere di Sheikh Jarrah, nella Gerusalemme est. Questa sentenza si è basata su una legge del 1970 che permette agli ebrei di rivendicare e reclamare beni e territori a Gerusalemme est in quanto ritengono che quei territori appartenevano alle famiglie ebree prima del 1948, anno della Dichiarazione di Indipendenza israeliana, e che quindi gli attuali proprietari terrieri palestinesi dovrebbero essere sfrattati e le loro proprietà dovrebbero essere consegnate agli ebrei israeliani.

I palestinesi, dal canto loro, sostengono che queste leggi non siano eque perché non possiedono i mezzi legali per poter reclamare le proprietà perse dalle famiglie ebree alla fine degli anni Quaranta, dato che quei territori e quelle case furono costruite e consegnate ai profughi palestinesi nel secondo dopoguerra dalla Giordania, che in quel periodo governava la parte est di Gerusalemme.

La celebrazione annuale della conquista di Gerusalemme

Altra motivazione di quest’escalation deriva anche dalla celebrazione annuale da parte di Israele della conquista di Gerusalemme est avvenuta nella guerra dei sei giorni del 1967.

Dopo la guerra arabo-israeliana del 1948, Gerusalemme è stata divisa in due: la parte ovest in mano agli israeliani e la parte est in mano ai palestinesi, proclamandola capitale dello Stato di Palestina, ma dopo la guerra del 1967, Israele ha annesso anche la parte orientale di Gerusalemme e nel 1980 è stata promulgata una legge nota come “Legge di Gerusalemme” nella quale si decreta l'unificazione della città come la capitale dello Stato Ebraico, sebbene ciò non sia riconosciuto dalla stragrande maggioranza degli altri paesi arabi.

Scontri di tale violenza si erano registrati anche alla fine del 2017, quando Trump decise di riconoscere Gerusalemme come capitale indivisa di Israele. Una storia che continua a ripetersi con scontri violenti e con migliaia di vittime innocenti.