Chi dei tre indagati sapeva realmente che erano stati manomessi i freni della funivia del Mottarone? Solo Tadini? Alla cruciale domanda hanno dato risposte diverse la procuratrice di Verbania, Olimpia Bossi, e la gip Donatella Banci Buonamici. Stanotte, 30 maggio, dopo gli interrogatori di garanzia, la gip non ha convalidato i fermi, né confermato le custodie cautelari in carcere.

La giudice ha scarcerato Gabriele Tadini, caposervizio della funivia del Mottarone, unico ad avere ammesso le sue responsabilità e posto ai domiciliari, Luigi Nerini, gestore dell'impianto, ed Enrico Perocchio, direttore di esercizio.

Questi ultimi sono tornati in libertà. I tre erano stati fermati la notte tra martedì e mercoledì dopo l'incidente di domenica 23 maggio quando la cabina numero tre della funivia si è schiantata al suolo provocando 14 morti. Tutti sono accusati di omicidio colposo plurimo, lesioni colpose, disastro colposo.

Funivia, decisione inaspettata: scarcerati i tre indagati

La decisione della gip è giunta inaspettata dopo una lunga giornata di interrogatori nel carcere di Verbania. Chi deve essere chiamato in correità con Tadini per aver inserito i forchettoni che hanno reso inoperativi i freni di emergenza e causato la morte di 14 persone? C'è un collegamento tra questo fatto e l'altro mistero del caso, la rottura della fune traente che sarebbe un evento rarissimo nella casistica delle funivie?

Sono domande a cui l'inchiesta appena cominciata dovrà dare risposte.

Per il momento, la gip ha ritenuto che non ci siano elementi probatori verso Nerini e Perocchio che possano legittimare la custodia cautelare in carcere. E per Tadini, che ha ammesso di avere deliberatamente e ripetutamente inserito i dispositivi blocca freni, sono sufficienti i domiciliari.

Nel decreto di fermo, la procuratrice Bossi aveva attribuito a tutti e tre gli indagati "la deliberata volontà" di bloccare i freni di emergenza "per ragione di carattere economico e in assoluto spregio delle più basilari regole di sicurezza". Bossi, aveva ravvisato "il pericolo concreto e prevedibilmente prossimo della volontà degli indagati di sottrarsi alle conseguenze processuali e giudiziarie delle condotte contestate, allontanandosi dai rispettivi domicili e rendendosi irreperibili".

La gip: 'Contro Nerini e Perocchio solo suggestioni'

Alle 23 di ieri, è stata letta in carcere ai legali dei tre indagati e al procuratore Olimpia Bossi, l'ordinanza della gip. Nel documento si parla di "totale mancanza di indizi a carico di Nerini e Perocchio che non siano mere, anche suggestive supposizioni", e di "scarno quadro indiziario" che, dopo gli interrogatori di ieri, sarebbe stato ancora "più indebolito". Per la procuratrice Bossi, che ha parlato con i giornalisti fuori dal carcere, la gip avrebbe creduto alla dichiarazione di estraneità di Nerini e Perocchio che avrebbero scaricato la scelta dell'uso dei blocchi al freno su Tadini.

Per la gip, invece, il caposervizio Tadini avrebbe incolpato gli altri per condividere un "immane peso, anche economico", e attenuare le sue responsabilità.

Sarebbe stato solo lui a ordinare il blocco dei freni dal 26 aprile con la ripartenza della funivia dopo le restrizioni anti-Covid. "Dio mi giudicherà", aveva detto Tadini. Il legale, Marcello Perillo, ha riferito di aver chiesto per l'assistitito solo i domiciliari "perché la questione del blocco frenante è colpa sua e su questo aspetto è assolutamente indifendibile".

Quando ha letto le accuse della Procura, Perocchio ha detto di essersi sentito morire e di essere disperato per le 14 vittime, ma di ignorare che il sistema dei freni fosse stato bloccato: se lo avesse saputo, avrebbe fatto bloccare l'impianto. All'uscita del carcere, Nerini non ha fatto riferimento alla tesi accusatoria. Si è limitato a dire che si impegnerà per il risarcimento ai familiari delle vittime.

Il suo legale, Pasquale Pantano, ha detto: "Ora si cerchino i veri responsabili"

Un teste aggraverebbe la posizione di Tadini

La testimonianza di un operaio dell'impianto aggreverebbe la posizione di Tadini. Il capo servizio gli avrebbe ordinato di non rimuovere il ceppo dalla cabina tre. Alla domanda se la cabina potesse viaggiare così con persone a bordo, Tadini gli avrebbe risposto: "Prima che si rompa un cavo traente, ce ne vuole".

La procuratrice Bossi non vive come una sconfitta la scarcerazione degli indagati: il procedimento è in fase iniziale, le indagini proseguono. Potrebbero essere iscritti nel registro degli indagati anche altri dipendenti della società che gestisce la funivia del Mottarone. Gli accertamenti della Procura sono anche di tipo tributario: il sospetto è che spesso i passeggeri siano stati fatti viaggiare senza ricevuta per aggirare il fisco.