Diana Pifferi, la bimba di 18 mesi abbandonata e morta di stenti a Milano, aveva tracce di benzodiazepine nel sangue e nei capelli. Il dato sconfesserebbe la versione finora fornita dalla mamma Alessia, in carcere dal 21 luglio con l'accusa di omicidio pluriaggravato.

La donna di 37 anni ha sempre negato di aver somministrato tranquillanti alla figlia, ma solo paracetamolo. Diana era stata lasciata sola per sei giorni nell’appartamento nel quartiere popolare di Ponte Lambro dalla mamma che aveva raggiunto il compagno a Bergamo. I legali della donna sono stati ospiti di Quarto Grado e intervistati da Fanpage.

Diana Pifferi, attesa perizia sul biberon

Del caso di cronaca nera si è parlato nella puntata del 21 ottobre di Quarto Grado. Uno degli ospiti fissi del programma, il generale Luciano Garofalo, ex capo del Ris di Parma, infatti, è consulente della difesa. Le sostanze rilevate sul corpo di Diana potrebbero essere frutto di una contaminazione? Questa la domanda che gli è stata posta in studio. "Quando si analizza il capello, viene frammentato in più parti e ci può essere una contaminazione esterna. Non possiamo escludere che ci sia stata", ha detto Garofalo precisando poi che può essere retrodatata e si può andare indietro molto, anche di mesi e di anni. Per Luca D’Auria, legale della mamma Alessia ospite in studio con l'altro legale Solange Marchignoli, ci sarebbero elementi che proverebbero che la bambina non sia stata sedata: "Manca al momento una documentazione che proverebbe che nel tempo la bambina abbia assunto farmaci compatibili con le benzodiazepine".

Per il giornalista Carmelo Abbate, ospite fisso del programma, l'omicidio volontario non è in discussione: "La madre quando torna da Bergamo a Milano dice che è cosciente che la bambina può morire e sceglie volontariamente di non andare a casa. Questo si chiama omicidio volontario sotto il profilo del dolo eventuale". Si attendono ulteriori dettagli dalla perizia sul biberon e altri oggetti di Diana: i pannolini, il materassino e il cuscino della culla.

Diana Pifferi, il no a un esame chiesto dalla difesa

L'autopsia sarà depositata formalmente nei prossimi giorni dalla Procura. Intervistato anche da Fanpage, il legale D'Auria ha chiarito che "la traccia non è un dato sacro. È un dato tutto da interpretare. Potrebbe essere una traccia che deriva da un'assunzione di farmaci del tutto leciti, magari al fianco di una terapia fatta mesi prima sulla bambina, e che lasciano residui sui capelli.

Possono essere tantissime le ragioni". E la collega Marchignoli ha aggiunto: "Sono convinta che la signora non abbia dato nulla di tutto ciò. Conosco la storia della bambina e, avendo il quadro completo delle informazioni, sono serena". I legali hanno fatto sapere di aver chiesto esami dattiloscopici per trovare eventuali impronte di terzi su quei reperti. Ma la richiesta è stata respinta dal giudice per le indagini preliminari del tribunale di Milano.

"Alessia Pifferi ribadisce di non aver mai somministrato benzodiazepine alla figlia. Questo ce lo ha detto in carcere", le parole dei legali. Nel sopralluogo fatto nel bilocale di via Parea era stato trovato solo il flaconcino del farmaco ansiolitico En, vicino alla culla della bimba, ma nessuno di tachipirina.

Il giudice ha conferito l'incarico a diversi periti: tra questi anche Giorgio Portera, il genetista che si è occupato tra l'altro del caso di Yara Gambirasio. Stesso incarico invece i difensori hanno conferito al generale Luciano Garofano. Entrambi i professionisti avranno 90 giorni per depositare la perizia.

Diana Pifferi, la mamma chiede la foto in carcere

"Le avevo lasciato il latte. Non ho mai usato tranquillanti. Le aveva dato delle goccine di tachipirina", aveva già detto la donna al gip nell’interrogatorio di convalida del fermo. "Non ho mai assunto quelle gocce e tantomeno le ho date a mia figlia", ha ribadito. Invece, nel corso dell'ultima udienza che si è svolta lo scorso 14 ottobre, la donna non avrebbe mai parlato.

Ai suoi legali avrebbe chiesto di poter avere in carcere la foto della bambina.

Agli inquirenti, i vicini di casa hanno raccontato di non aver mai sentito piangere la bambina. La donna aveva spiegato di essersi allontanata per salvare la relazione con un uomo che non è il padre della bambina: "Ci contavo sulla possibilità di avere un futuro con lui, e infatti era proprio quello che in quei giorni stavo cercando di capire; è per questo che ho ritenuto cruciale non interrompere quei giorni in cui ero con lui anche quando ho avuto paura che la bambina potesse stare molto male o morire". Dalle chat sarebbe emerso che per la donna la figlia sarebbe stata solo un intralcio.